Una capriola silenziosa. La foglia, di un color bronzo vivace, quasi si attorciglia su se stessa mentre, abbandonata la presa sicura del ramo, si appresta a raggiungere il suolo con un’evoluzione funambolica e sinuosa che trova la propria inevitabile conclusione in un “tic” delicato, quasi impercettibile, una volta raggiunto l’asfalto. In quel momento, nel preciso istante in cui, come fosse animata da un timore reverenziale, schiva il piede per adagiarsi sul terreno, si ha l’impressione che la Natura abbia deciso di concedersi una garbata pausa dal proprio fisiologico letargo ricordando, a chi avesse la voglia di ascoltare, che ogni fine prelude a un nuovo inizio.
Anche il ciclismo – quello su strada, almeno – segue un poco l’andamento delle stagioni: risvegliandosi nei primi mesi dell’anno, frizzando in primavera, esplodendo in estate e avviandosi verso il riposo in autunno. Anche per i corridori è così: terminata un’annata, ci si prende il giusto tempo per riposare e per pensare al futuro che sarà. Anche se l’anno è stato sfortunato e il domani è accompagnato da un punto interrogativo.
2015, ANNUS HORRIBILIS – “L’anno prossimo non so ancora cosa farò.” La voce è quella inconfondibile, squillante, di Emanuele Sella. Uno degli atleti più esperti in gruppo; uno dei capisaldi della carovana delle due ruote. “Lele”, come viene chiamato confidenzialmente, è reduce da un 2015 “nero” che l’ha visto impattare rovinosamente sulla carreggiata in febbraio al Trofeo Laigueglia: un capitombolo che poteva essere come tanti altri ma che, invece, l’ha costretto a lasciare la competizione ligure a bordo dell’ambulanza per raggiungere in fretta e furia l’ospedale, dove gli è stata diagnosticata una frattura del femore. Un incidente serio, costato al veneto classe 1981 un lungo, forzoso, stop e un inevitabile abbattimento dei chilometri di corsa. Oltre a una quinta avventura in maglia Androni Sidermec finita, praticamente, ancor prima di cominciare.
“Avevo esordito alla Vuelta al Tachira poi, in Europa, ho gareggiato al Gp Costa degli Etruschi e al Laigueglia mi sono infortunato. L’anno, praticamente, l’ho perso tutto.” Il tono si fa più serio, mentre Sella ripercorre le dolorose vicissitudini di quel periodo. “Sono rientrato al Matteotti, in luglio, ma non ero del tutto a posto. Poi c’è stata la pausa della squadra e, a settembre, la gamba mi ha dato ancora problemi. Quindi, ho parlato con i direttori sportivi e ho preferito farmi da parte e far correre i miei compagni.” Una decisione generosa. “Una scelta logica” si affretta a rimarcare. “Dovevo sistemare la gamba, non era giusto togliere spazio agli altri. E io ho preferito fermarmi. Adesso sono passati più di otto mesi e sto meglio. Ma c’è voluto tanto tempo…”
Il femore è una parte essenziale del corpo di un atleta: “Se mi fossi rotto la clavicola, forse e per assurdo, sarebbe stato meglio. Ma con la gamba ci pedali. Ti serve che sia efficiente, più di ogni altra cosa.” La gamba, per un ciclista, è l’ingranaggio basilare di una “macchina” che deve mulinare alla perfezione. E’ una componente irrinunciabile del “motore” e, se non ci puoi fare affidamento, è un maledetto problema. “Mi era stato detto subito che i tempi di recupero sarebbero stati lunghi…addirittura un anno. Per fortuna c’è voluto meno per tornare in bici. Ora non sono ancora al 100% ma, lavorando, si è sistemato tutto. Un infortunio così? Rischi del mestiere…”
Già. Perché essere ciclisti potrebbe voler dire trovarsi faccia a faccia con i luminari dell’ortopedia. E diventare, sfortunatamente, esperti in materia. “La mia frattura era scomposta. L’ osso era spezzato e mi hanno operato subito. Poi ho passato 40 giorni senza poter poggiare il piede a terra. Camminavo con le stampelle. Dopo altri 40 giorni ho iniziato ad appoggiarlo e, dopo due mesi, a camminare senza stampelle. Poi, piano piano, ho ricominciare a pedalare senza fare troppo carico. Per pedalare normalmente ci è voluto qualche mese in più…” Risata. Ripresa. “Quest’anno – l’undicesimo tra i professionisti, ndr – ero partito con ambizioni importanti. Volevo fare bene. Fare il meglio che potevo. A 34 anni quello che hai fatto, hai fatto…Non pensavo di correre ancora tanti altri anni, ma un altro o due si. Questa era – ed è ancora – l’idea.”
LA BICICLETTA, IL PRIMO AMORE – L’amore di Sella per la bicicletta è cominciato a 15 anni – come racconta lui stesso – ed è un amore reciproco. “Il ciclismo per me è un piacere. A me piace la bici, mi piace questo mondo. Ho iniziato da esordiente, secondo anno, con la Palladio, una società storica di Vicenza con oltre 40 anni di attività all’attivo. A quel tempo mia mamma conosceva uno dei dirigenti. Avevano bisogno di ragazzi e le hanno detto se, visto che aveva un figlio, voleva farlo correre. Ho provato e non ho più smesso. Per festeggiare la prima vittoria, però, ho dovuto aspettare il secondo anno da juniores, con il Postumia73, poi da Under23 sono passato alla Zalf. Quattro anni di bei ricordi e, anche, di successi. Da dilettante ancora ti diverti.”
Passato, presente. Ma, altresì, futuro. Perché, per appendere la bicicletta al chiodo, c’è ancora tempo. “Con l’Androni Sidermec, purtroppo, è finita. Ho parlato con Gianni Savio una quindicina di giorni fa e mi ha spiegato che, nel 2016, il team passerà necessariamente a un organico di 16 corridori e che, quindi, non sarebbe stato possibile riconfermarmi. Certamente mi dispiace perché, dopo cinque stagioni, avrei voluto restare ancora in questa squadra, ma a Gianni io posso solo dire grazie. Quando è successa, ad esempio, la questione dello sponsor venezuelano ha fatto veramente i miracoli. Si è sempre preso cura di me. Si è sempre preso cura di tutti noi.”
Dispiacere, ma anche tanta gratitudine. Nel suo stile. E la fiducia per i mesi a venire. “Per il 2016 stiamo lavorando, anche se è molto difficile. Il periodo è critico, ci sono tanti corridori in attesa di un contratto e anche io sono uno di questi. Ma la speranza è l’ultima a morire. Ad oggi è difficile, ma io la speranza –appunto – non la perdo. Se non dovessi trovare una squadra? Non so ancora cosa farò. Al momento ci sto pensando, voglio prendermi il mio tempo. Ho passato più della metà della mia vita in biciletta e so che prima o poi dovrò girare pagina. Subito dopo l’infortunio di febbraio avevo iniziato a pensare che era finita. Ho sofferto tanto. Ho trascorso 15 giorni in ospedale, l’intervento non è stato facile e ci sono state anche delle complicanze. Poi ho ricominciato ad andare in bici e a fare quello che facevo prima e, quindi, ho accantonato l’idea. Sapevo che il contratto era in scadenza e, ora, sono in attesa. La bicicletta è sempre stato il mio primo amore: nessuno decide di diventare un ciclista, lo diventi e basta perché corri e arrivano i risultati e vai avanti, ma anche se dovessi smettere con il professionismo in bici ci andrò lo stesso.”
Il perché è molto semplice. “Quando esco in bici mi capita di trovare tanta gente, dal più giovane al più anziano, e tutti mi raccontano di sè, delle proprie vicissitudini. A me piace stare ad ascoltare le varie storie. Quello che dico sempre è che ciò che conta è la passione, che bisogna fare le cose per bene. Ciascuno va via del proprio passo. Ognuno di noi ha la propria strada da fare. E’ questo che mi insegnano le persone che incontro per strada, con cui mi piace parlare. L’importante è arrivare. Non importa quanto ci metti.”