“Sai che c’è?!
Non ce ne frega niente, dei pescecani e di tanta brutta gente, siamo delfini, è un gioco da bambini.
Sai che c’è?!
Non ce ne frega niente, la vita è morire cento volte, siamo delfini e giochiamo con la sorte”.
Era il 1993. Sono passati più di 20 anni da quando, prima di andare in missione, il collonnello del Ruolo d’Onore, Pilota Istruttore di elicotteri dell’Esercito Italiano, Carlo Calcagni ascoltava questa canzone, “I delfini” del maestro Domenico Modugno. Oggi che il colonnello ha 47 anni, quelle parole hanno assunto un significato diverso ma sempre ricco di speranza e di voglia di andare avanti.
CURRICULUM DA CAPITANO – “Un bagaglio di esperienza pieno di professionalità ed esperienza sul campo: oltre ad effettuare tutto l’addestramento in volo previsto per i piloti operativi, ero comandante di uomini e sacrificavo il mio tempo libero per gli allenamenti in bici che mi permettevano di essere anche un atleta di livello internazionale e vincere 15 titoli di Campione Italiano e 3 di Campione del Mondo, oltre a tantissime gare Internazionali. Ho partecipato a tante esercitazioni con la NATO; esercitazioni anche a fuoco nei poligoni della Sardegna; attività di pronto intervento 24 ore su 24; trasporto di organi; calamità naturali; subito dopo la strage di Falcone, vengo impiegato in Sicilia, dove resto per circa due anni presso l’aeroporto di Bocca di Falco, a Palermo, per l’attività di ordine pubblico “Vespri Siciliani”, svolgendo circa trecento ore di volo in missioni di scorta e trasporto Magistrati, ricognizioni e pattugliamenti, infatti ero in volo su Palermo proprio quando ci fu la strage di Borsellino. Successivamente, faccio parte del personale impiegato nell’operazione “Partenope” in Campania e nell’operazione “Riace” in Calabria (Aspromonte) distinguendomi sempre per la disponibilità e professionalità, come testimoniano gli elogi conferiti dai Comandanti che mi hanno avuto alle proprie dipendenze. Dopo aver partecipato anche a missioni internazionali, prima in Turchia e successivamente in Albania, nel 1996 vengo inviato in missione internazionale di pace in Bosnia-Erzegovina, a Sarajevo in qualità di Pilota Osservatore e addetto al servizio MEDEVAC (evacuazioni medico sanitarie), l’unico pilota di elicotteri del primo Contingente Italiano” racconta con lucidità Carlo Calcagni che durante la missione nei Balcani, in diverse occasioni, recupera feriti e salme, una attività particolare e rischiosa, svolta con impegno e coraggio, per la quale gli vengono tributati due elogi ed un encomio, per l’alto grado di professionalità con cui ha espletato il suo dovere di soldato ed il suo incarico.
Proprio a causa della duplice attività di Pilota Osservatore e soccorritore, però, Carlo viene a stretto contatto con le polveri sottili di metalli pesanti derivati dall’esplosione di munizioni con uranio impoverito, facilmente inalabili e con le altre sostanze tossiche. “Tutti sapevano, tranne noi militari impiegati nelle zone di guerra altamente contaminate dai metalli pesanti e dalle sostanze tossiche che solo questo tipo di munizionamento può generare, perché riesce a raggiungere nell’esplosione temperature fino a 5000 gradi centigradi, temperatura che sublima qualsiasi materiale coinvolto nell’esplosione, generando un letale aerosol, che, attraverso le vie respiratorie, inizia una terribile invasione dell’organismo umano, raggiungendo con il sangue ogni organo dove si depositano generando danno d’organo e gravissime malattie, perché oltre a non essere biodegradabili e biocompatibili, sono materiali tossici sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista chimico; il nostro corpo è soltanto apparentemente integro” prosegue il Capitano Calcagni.
La ferita che fa più male è proprio essere discriminati da chi dovrebbe tutelare e, al contrario, ritiene che questa condizione non è di natura traumatica, perché, a suo dire, non è un trauma visibile. “Chi ha subito una mutilazione si trova suo malgrado a dover gestire una perdita; ma una perdita, per quanto invalidante, può essere colmata, sostituita, rimpiazzata; il vissuto di perdita è pesante ma elaborabile con minori difficoltà rispetto all’altra “mutilazione” che perdita non è, ma è piuttosto essere “invasi” da un nemico invisibile, che giorno dopo giorno, inesorabilmente, inspiegabilmente e silenziosamente, prende spazio e potere nel tuo corpo e nella tua mente: è percezione di sentirsi progressivamente “occupati” da minuscole particelle che impercettibilmente minano l’organismo dal proprio interno. Ho scritto più volte alle istituzioni senza mai avere alcuna risposta: indifferenza totale. Questo è più doloroso della stessa sofferenza della malattia”.
300 COMPRESSE E 7 INIEZIONI OGNI MATTINA – La voce di Carlo Calcagni è profonda, le parole sono misurate, la fiducia nelle istituzioni immutata. “Rifarei tutto ciò che ho fatto e ancora oggi vesto con orgoglio la divisa. Non è il comportamento di alcuni funzionari che mi fa rinunciare agli ideali per cui ho lottato”.
Eppure oggi, ogni giorno, sin dalla mattina, deve alimentarsi senza glutine, senza zucchero, senza latte o derivati e senza altre proteine di origine animale; assumere oltre 300 compresse e fare 7 iniezioni di immuno terapia a basso dosaggio (ogni iniezione contiene un mix di 25 vaccini) per far fronte alla MCS (sensibilità chimica multipla). Deve affrontare 18 ore al giorno di ossigeno terapia per una gravissima ipossia dei tessuti, altre due ore di ossigenoterapia in camera iperbarica, altre 4-5 ore di flebo e fare almeno 30 minuti al giorno di sauna ad infrarossi. Ogni sera, prima di coricarsi deve indossare la maschera del ventilatore polmonare collegato all’ossigeno che deve sopportare per tutta la notte, una volta alla settimana si sottopone a plasmaferesi e all’occorrenza a trasfusioni ematiche.
A mandare in tilt il suo organismo, ad inizio anni 2000 non è stata una bomba o una mina, ma un nemico invisibile. Il colonnello, dopo una notte trascorsa con febbre alta a causa di una setticemia batterica da catetere venoso centrale, lo nomina una sola volta nel corso del nostro lungo incontro. “L’uranio impoverito era stato usato dagli americani per distruggere gli obiettivi sensibili, eliminando, al tempo stesso, i prodotti di scarto delle centrali nucleari”.
RESPONSABILITA’ E METALLI PESANTI – Gli americani avevano avvisato il Ministero della Difesa italiano, indicando i punti interessati e i rischi certi per la salute dei soldati. Ma nulla fu fatto per avvisare a cosa sarebbero andati incontro gli uomini dell’esercito tricolore. Domenico Corcione, Beniamino Andreatta, Carlo Scognamiglio e, l’attuale capo dello stato, Sergio Mattarella si succedettero alla guida del Ministero dal 1995 al 2000 sotto i governi Dini, Prodi e D’Alema, ma nessuno di loro fece in modo di fornire alle truppe italiane l’equipaggiamento adeguato o, quantomeno, le informazioni necessarie ad affrontare un nemico tanto invisibile quanto letale. Anzi, proprio l’attuale Presidente della Repubblica Mattarella, quando era Ministro della Difesa, in risposta ad una interrogazione parlamentare su casi noti di alcuni militari deceduti e le gravi malattie fra i reduci che avevano partecipato alla missione internazionale di pace nella ex Jugoslavia, affermò che non era mai stato utilizzato uranio impoverito nei Balcani.
Gli effetti delle polveri e dei metalli pesanti depositatisi nei corpi dei soldati italiani, non hanno impiegato troppo tempo a dispiegare i propri effetti: tantissimi sono i reduci ammalati e tanti, troppi, i deceduti. Tra loro anche Carlo Calcagni, una vera e propria discarica di metalli pesanti, con valori eccessivamente elevati di: piombo, acciaio, alluminio, berillio, antimonio, arsenico, bismuto, cadmio, piombo, nickel, tallio, tungsteno, uranio, torio, platino, tellurio, gadolinio, cesio e valori di oltre mille volte il massimo tollerabile di mercurio. Ha subito interventi molto invasivi: gli sono già stati asportati alcuni noduli ai polmoni e al collo; il suo quadro clinico è stato messo nero su bianco dalla “Commissione medica Militare” che ha certificato che le patologie sono insorte perché “Calcagni è stato verosimilmente esposto a uranio impoverito”.
Soffre di patologie multiorgano, ognuna molto grave e che nell’insieme sono ancor più devastanti e difficili da curare. Nel decreto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, emesso dal Ministero della Difesa che gli ha riconosciuto una invalidità permanente del 100%, concedendogli anche il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio e il Distintivo d’Onore di Mutilato in servizio, sono riportate Sindrome Mielodisplastica Secondaria, con citopenia refrattaria e con marcata Displasia Multilineare, mancato funzionamento dell’Ipotalamo e dell’Ipofisi, insufficienza renale cronica, riscontro di corpi estranei metallici non asportabili ed ncefalopatia tossica da metalli pesanti. Purtroppo, però, anche dopo essere stato riformato nel 2007, il suo quadro clinico ha continuato drasticamente a peggiorare: nel 2010 gli viene certificata la necessità di un trapianto allogenico di midollo, nel 2013 gli viene diagnosticata una Displasia Aritmogena del Ventricolo destro, nel 2014 i medici rinvengono una Cardiopatia da Metalli Pesanti con una funzionalità cardiaca ridotta al 35% e una Encefalite Demielinizzante Autoimmune di tipo Cronico Degenerativo e Irreversibile con sindrome Atassica. A maggio di quest’anno gli viene diagnosticata una Polineuropatia Sensitivo Autonomica e Deficit Multiorgano da esposizione a metalli pesanti e appena un mese dopo, il Morbo di Parkinson.
IL DELFINO E LA VOCE DEL MARE – Malattie che non lasciano scampo, che tolgono la voglia di lottare e di vivere a chiunque. Ma il colonnello Carlo Calcagni è un delfino, uno che non si lascia affondare e, grazie al ciclismo ogni giorno torna a vivere: “Fino ai 18 anni avevo fatto judo (cintura nera agonista), ma poi a 26 anni ho scoperto la mia passione per la bici e in sella ho vinto tanto. Mi chiamavano “il fuggitivo” perché ero sempre all’attacco in solitaria e mi sono preso le vittorie in tutte le Gran Fondo più belle, lasciando ricordi indelebili in tutta Italia. Tanto che qualche team professionistico mi aveva chiesto di provare il grande salto. Ma io ero un militare, un pilota istruttore di elicotteri e anche allora non ho voltato le spalle ai miei ideali. In questi anni, a causa delle mie condizioni di salute, i medici italiani mi avevano vietato l’attività fisica ma grazie ai Signori Medici che si sono presi cura di me e le cure presso un Ospedale Inglese, unico Centro di Altissima Specializzazione in Europa capace di curare la MCS (sensibilità chimica multipla) e patologie correlate alla contaminazione da metalli pesanti, abbiamo dimostrato “clinicamente” che proprio grazie al ciclismo posso stare meglio.”
Una ricetta che sembra incredibile e che, invece, ha basi concrete: “Oggi il mio corpo soffre di ipossia: l’ossigenazione dei tessuti è pari al 13% (i valori normali in un organismo sano, al livello del mare, si attestano attorno al 98-99%, e non devono scendere sotto al 60%, ndr). Questo comporta valori molto elevati di anidride carbonica che si attestano sul valore di 60, ma non dovrebbe superare 40; questo comporta stanchezza cronica e colpi di sonno.Quando pedalo, senza ossigenazione artificiale, questi valori salgono fino al 40%; per questo abbiamo utilizzato il concentratore di ossigeno portatile e sono arrivato addirittura all’80% e abbassando contemporaneamente i valori di anidride carbonica. Per questo dico che con i farmaci sopravvivo ma è la bicicletta che mi fa vivere”.
Una bicicletta da corsa con tre ruote, quella usata su strada da Carlo Calcagni, che serve a fare posto all’ossigenatore portatile: “Se esco su strada devo sempre essere accompagnato perché ogni imprevisto potrebbe essere letale. Succede spesso che rientro con la febbre già a 38-39. Quando non posso uscire salgo sui rulli per un’ora o due e sto già meglio”.
Una passione che diventa medicina, per il corpo, ma anche per la mente. Grazie alla bicicletta Carlo Calcagni non solo riesce a vivere ma ha trovato un nuovo obiettivo per cui valga la pena lottare. E’ campione italiano di ciclismo paralimpico, ha vinto due prove di Coppa del Mondo e ora punta diritto alle Paraolimpiadi di Rio de Janeiro 2016: “Senza un obiettivo non potrei sopportare tanto dolore. Il tecnico della nazionale mi ha chiamato nei giorni scorsi. Questa settimana svolgerò alcuni test a Montichiari. Vuole portarmi in pista, su una bicicletta normale per fare chilometro da fermo e inseguimento individuale già ai mondiali in programma a marzo proprio al velodromo Fassa Bortolo: io non ho mai fatto pista ma le sfide mi piacciono e se questo servirà a portarmi a Rio, sono pronto a mettermi di nuovo in gioco”.
Carlo è così. Non conta la fatica, non conta il dolore, non contano i mille ostacoli che ancora dovrà affrontare per raggiungere il Brasile, non contano nemmeno le assurde e squallide accuse di doping subite in passato per aver assunto un farmaco “quod vitam et valitudinem” (necessario per la salute e per vivere) ad uso terapeutico, autorizzato preventivamente sia dalle autorità competenti Nazionali (FCI, CONI) ed Internazionali (UCI e WADA). Non conta nemmeno la volontà di ignorarlo, di nascondere la prova vivente delle colpe delle Istituzioni Italiane che ancora oggi non vogliono ammettere le loro responsabilità per quanto accaduto ai militari che sono stati impiegati in particolari teatri di guerra come i Balcani, letteralmente mandati allo sbaraglio senza le protezioni e senza mettere in atto tutte le precauzioni necessarie che ogni datore di lavoro ha il dovere di mettere in atto per salvaguardare la salute dei propri dipendenti.
Lui, il colonnello, è un delfino. E i delfini giocano con la sorte per ascoltare la voce del mare che, come racconta Sergio Bambaren, ripete a tutti: “Alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della distanza, più profonde del linguaggio e delle abitudini: seguire i propri sogni e imparare a essere sé stessi, condividendo con gli altri la magia di quella scoperta…”