Miseria e Nobiltà. Il titolo del film del ’54 interpretato da Totò calza bene alla fase critica che sta attraversando il ciclismo italiano. Nobiltà sta per Gp Nobili rubinetterie. Una delle poche corse che ancora si disputano in Italia per professionisti. Anzi si disputavano. Cancellata dal calendario qualche giorno fa. Il ciclismo professionistico italiano è entrato in una lenta agonia. Mancano squadre, le poche che ci sono non possono competere con l’altissimo livello internazionale, professionale e organizzativo di colossi al pari di Sky o Etixx solo per far qualche nome. E corse come il Gp Nobili si sarebbero viste costrette ad accontentarsi di un parterre fatto di continental e qualche professional. Facendo in un certo senso passare in secondo piano quello che è ed era il patrimonio ciclistico tricolore.
Ma nella lista della miseria, nel senso di quella che un tempo era nobiltà ed ora è diventato un cahier de doleance ci è entrato pure il Trofeo Balestra, ex prova del calendario internazionale, e il circuito di Melzo. Senza dimenticare che anche la Tre Tre Bresciana per juniores sarà ridotta a un solo giorno di gara per una “inedita” Uno-Uno Bresciana.
La Lombardia, un tempo ombelico del mondo ciclistico, sta perdendo i pezzi. Si riduce sensibilmente non solo il numero ma anche la qualità delle gare in quella che un tempo era la regione dominante del movimento a due ruote. Si parla si parla, ma alla fine si cancella si cancella. Il lumbard del “so tut me” ormai deve cedere il passo a un Veneto che dopo una prima emorragia di gare ha saputo contenere le perdite. Il Veneto del “tasi e lavora mona” sta tenendo in piedi il mondo delle due ruote italiane. E lo fa assieme alla Toscana che su 51 corse riservate ai dilettanti è riuscita addirittura ad aumentare a 53 il numero di gare. Belle o non belle, circuiti o non circuiti, Poggio alla Cavalla e similari, però i corridori…corrono.
Quasi scomparsa dal novero del ciclismo dilettantistico la regione che ha dato i natali al grande Coppi. In Piemonte, aldilà delle promesse, delle polemiche e dei proclami, rimangono Briga Novarese e la Ciriè – Pian della Mussa sommate a qualche circuito che si disputa nel periodo di massima calura in zone di risaie o simili, il resto sta andando scomparendo. Luce spenta in Liguria, la terra della Milano-Sanremo sembra essere diventata troppo snob per pensare al ciclismo dilettantistico. Non pervenuti il Friuli Venezia Giulia e il Trentino, dove regnano incertezze e morìa di gare: c’erano una volta la Trento – Monte Bondone, il Trofeo Internazionale di Caneva, il Trofeo ZSSDI e tante altre… Oggi resistono un traballante Giro del Friuli, la Bolghera e qualche sfida messa in piedi solo grazie alla passione di alcune forti individualità.
Non se la passa bene neppure l’Emilia Romagna. La terra di Marco Pantani qualche segno di rinascita lo sta dando in tema di squadre che stanno nascendo ma per quanto riguarda le gare sempre per la categoria di mezzo, quella dei dilettanti, siamo lontani, anzi, lontanissimi dai tempi d’oro. Felino, Collecchio e Rimini rimangono ormai delle eccellenti eccezioni, in una realtà in cui sono più numerosi i forfait delle conferme. Per fortuna si salvano le gare per professionisti un po’ alla Romagna Mia ma almeno ci sono. E bisogna ringraziare e togliere tanto di cappello a chi si impegna a metterle in cantiere. Altrimenti i nostri professionisti dovrebbero correre solo tra cammelli e dromedari.
Qualche segnale di vita arriva dalle Marche, ultimo avamposto del ciclismo federale italiano che permette ai corridori di misurarsi sugli ormai proverbiali “muri” marchigiani. Più in giù ci sono solo amatori e gare dilettantistiche un pò sgangherate, buttate lì, a volte folkloristiche e di modesto valore tecnico.
Italia terra di ciclismo. Un tempo si. Oggi cosa resta?
Le proposte rinascono guardando al passato. Ogni team si impegni anche a mettere in cantiere una gara, piccola, grande, con tante o poche ambizioni, un circuito o una cronoscalata, o una gara in linea. Un piccolo sforzo suddiviso in tanti diventerebbe così un grande sforzo. Tante piccole corse assieme potrebbero fare un piccolo Giro d’Italia. Stop a campanilismi, lotte intestine o di quartiere, stop a invidie o divisioni. Se si vuole salvare il ciclismo la strada da intraprendere è una sola. Sinergia. Solo così la nobiltà potrà tornare ad essere vera nobiltà e la miseria potrà essere confinata tra i brutti ricordi. Con buona pace di Totò e della sua allegra spaghettata sul tavolo…