Meno male che secondo l’ex leader Przemysław Niemiec la terza tappa del Giro di Turchia avrebbe dovuto corrispondere ad un giornata di totale tranquillità o quasi. Niente di più sbagliato in una corsa che i fattori esterni, pioggia e vento, hanno letteralmente rivoluzionato, come la classifica generale. Ne è uscita una tappa dallo svolgimento al contrario. Le emozioni son quasi tutte subito dopo il via, se il sadismo di vedere i protagonisti infilarsi a 70 all’ora in una nube d’acqua sferzata dal vento può in qualche modo affascinare.
La tappa da Aksaray a Konya, di chilometri 158, è in pratica già finita dopo un paio di essi. La strada è una dorsale battuta abitualmente da raffiche pesantissime e i locali addetti alla corsa ce lo avevano annunciato. Ci provano in 18 ma alla fine escono in 24: c’è la Lotto-Soudal al completo (attesi per qualche metro dai compagni anche Greipel e Hansen) e quattro elementi della Caja Rural che sta dominando il Giro. L’altra metà del plotoncino è assortita: in tutto sono coinvolte 11 squadre. Viene alla memoria la fuga-bidone sotto la pioggia della tappa de L’Aquila, al Giro 2010. Curiosamente quel dì vinse David Arroyo, che ad Aksaray è tra gli animatori della fuga ed è in lizza per il successo finale. Dietro ai primissimi remano in 35, praticamente metà serpentone: il distacco si allarga presto ad un minuto, scende subito a 35 secondi e poi addio. Alle loro spalle c’è infine un terzo gruppo, ancora di una sessantina di uomini: che non se la siano sentita di rischiare, che non avessero le gambe, l’esperienza o la qualità necessaria per farlo ormai conta poco. Lotto-Soudal e Caja Rural trovano un’alleanza reciproca, nell’interesse comune di classifica e le due squadre forse più titolate danno vita così ad una maxicrono. Il vento contrario, però, abbassa la velocità media della prima ora dai 49,4 ai 41 finali.
Ma chi è rimasto nella rete dei due gruppi in ritardo? La maglia azzurra Niemiec (con il suo fidato compagno Koshevoy) e i portacolori della CCC Sprandi Szmyd e Rebellin, 118 anni in tre, restano addirittura nel fondo della corsa. E’ una giornata nera per il team Lampre-Merida. Le distanze tra i segmenti si allargano a dismisura: diventeranno rispettivamente 15 e 25 i minuti di ritardo sul traguardo. A 20 chilometri dall’arrivo il forcing della Lotto frantuma i battistrada ed anche Pello Bilbao, virtualmente capoclassifica, è costretto a mollare gli scatenati belgi ed accuserà due minuti dal vincitore annunciato Greipel, all’undicesimo trionfo in Turchia. In vista della fettuccia d’arrivo il tedesco ha cercato di far vincere il compagno Kris Boeckmans, che viene da un inverno particolare, passato a recuperare condizione fisica e mentale dopo la caduta che alla Vuelta lo mandò in coma per una settimana. Ma alla fine il rischio sarebbe stato quello di favorire il nostro Alberto Cecchin, del piccolo Team Roth, bravissimo a contendere il successo al Gorilla di Rostock. Così, Greipel si è preso la vittoria, con Cecchin secondo e Boeckmans a completare il podio.
Ora la classifica è stranissima, sembra uscita da una cronosquadre. Tre Caja Rural, con Bilbao, Gonçalves ed Arroyo, separati da 13 secondi. Poi il brillante kazako Stalnov, 19 anni e un futuro da scoprire, l’esperto Mas a completare il poker iberico e ben cinque Lotto-Soudal, anche se a onor del vero, nessuno di loro con reali ambizioni di classifica. Anche perché, nemmeno fossimo sulle Alpi, dopo tre soli giorni il decimo della generale è già quasi a 9 minuti. In buona sostanza l’attesa frazione per velocisti insegna che le sorprese possono essere dietro qualsiasi angolo e che nel ciclismo di oggi non è legittimo distrarsi un attimo, pena la perdita di quanto si è costruito con la massima attenzione in precedenza. Serviva un pizzico di fantasia sulla corsa? Eccovi serviti, anche se il risultato odierno, a conti fatti, più che animarla la deteriora. Si rallegrino i granfondisti: anche i pro, in condizioni estreme, diventano vulnerabili e più umani. A Niemiec certo l’esperienza non manca ma la sensazione è che ricorderà a lungo questa giornata.
La tappa conclusasi a Konya, dove il luogo culto di Mevlana è da tempo in ristrutturazione e di dervisci rotanti nemmeno l’ombra (come gli indiani d’America sono relegati ormai ad attrazione estiva nelle celeberrime Turkish night, cene a base di prodotti tipici locali e compagnia danzante), alla partenza di Aksaray si è notata la presenza di una star, il gigantesco cane Malakli, a cui lo scorso anno la municipalità locale ha dedicato un enorme statua, che di fatto segnava la fine del trasferimento e il via effettivo alla tappa. Malakli (che in turco significa “con labbra”) è un molosso, meglio conosciuto come pastore dell’Anatolia centrale. Per la sua dedizione di guardiano e al suo istinto di protezione, la cittadina di Aksaray, di cui è tipico, ha voluto a suo modo rendergli omaggio. Giustizia è fatta: ieri un cane era finito in castigo, oggi è sugli altari. E poi dicono che della Turchia sono famosi solo i gatti della capitale…
da Konya, Gian Paolo Grossi
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