Ormai non fanno quasi più notizia le volate al fulmicotone degli italiani al Giro di Turchia. Eppure da queste parti di picchiate vertiginose se ne intendono, visto che la leggenda narra che davanti all’abitato di Göcek, oggi attraversato dalla corsa, si sia infilato di gran carriera nelle acque il prode Icaro, inseguendo in modo tanto intenso quanto vano il sogno di volare – in fondo il mito di ogni ciclista – da avvicinarsi troppo al sole e venirne così brutalmente respinto. La settima tappa della corsa euro-asiatica ha invece premiato ancora una volta i nostri più brillanti portacolori. Il podio di Marmaris è tutto colorato d’azzurro: Sacha Modolo bissa il trionfo di Alanya con sconvolgente (per gli avversari) superiorità, su un percorso adattissimo alle sue caratteristiche, Manuel Belletti ribadisce di saperci fare con le ruote veloci rinsaldando la maglia verde della classifica a punti e il terzo classificato, il gardesano Marco Zanotti, è sempre lì tra i primissimi dello sprint. Con Colli quinto, Cecchin sesto e il pilota di Modolo, un eccellente Ferrari nono, sono ancora sei i simboli tricolori nei top ten della frazione.
Noiosa quanto basta, al di là dei richiami di carattere mitologico. Proprio a Göcek, cento e passa chilometri all’arrivo, viene a cinque rappresentanti di piccole squadre l’insana idea di andare in fuga su un percorso vallonato, centrando l’obiettivo fallito dai numerosi aspiranti precedenti. La fuga dura sino a quando il gruppo ne ha voglia, il che è il leit motiv (e anche il limite) del ciclismo moderno, quello del copione solitamente identico e dal finale già scritto. E se i fuggitivi rischiano di venir ripresi troppo presto, il gruppo si rilassa, evitando così di scatenare una nuova bagarre sino all’arrivo. Al rifornimento si ritira Pello Bilbao ed è una notizia, dato che il basco solo due giorni fa pareva il padrone indiscusso della corsa. Uno stato febbrile (reale) e qualche chilo lasciato all’indisposizione ne hanno troppo debilitato il fisico per pensare di poter reggere il passo con i migliori della corsa.
Tra i quali non c’è – e non c’è mai stato – il campione uscente Kristijan Durasek, ancora dolorante alle costole per la caduta riportata al Giro dell’Appennino e parecchio indietro in classifica generale. Detto che il suo compagno Niemiec non sembra avere rivali per il ruolo di miglior scalatore (il secondo classificato è attualmente il suo compagno in Lampre Koshevoy), eccoci a riferire della progressione di Modolo dopo la veloce discesa verso Marmaris. Nella quale il trevigiano ha rischiato di essere sorpreso dalle progressioni di Mas prima (ricordate lo scorso anno il suo successo nella tappa conclusiva di Istanbul?) e Henderson poi, con il kiwi della Lotto Soudal ripreso a soli 900 metri dalla fine. In maglia azzurra di leader, del colore del mare di Marmaris, tra l’incredulità generale mista a disinteresse resta il portoghese José Gonçalves: non che non lo meriti, anzi, ma certo il suo nome nell’albo d’oro non nobilita una corsa che per rilanciarsi ha bisogno di testimonial credibili.
Vedremo se i 200 chilometri abbondanti, nella tappa conclusiva della kermesse turca, produrranno altre sorprese. Oppure consegneranno all’albo d’oro il secondo vincitore gemello in tre edizioni (Domingos André Maciel lo è di José Gonçalves), dopo il successo di Adam Yates del 2014. Sarebbe un’ottima ragione per ridefinire una corsa a tappe troppo spesso caratterizzata in passato da vincitori che hanno ballato una sola primavera, oscurati da vicende di doping fiorite proprio a ridosso del Bosforo.
da Marmaris, Gian Paolo Grossi