Il finestrino dell’automobile su cui stiamo viaggiando – un’utilitaria bianco-lacca che, certamente, ha visto tempi migliori – è ricoperto di una sottile patina giallastra, appiccicosa e impastante. L’idea di abbassarlo, per gustarsi un po’ meglio il panorama, non si rivela vincente: una nuvola di polvere invade l’abitacolo, scatenando colpi di tosse e facendo lacrimare gli occhi. A quanto pare, una consistente porzione di Sahara ha deciso di trovare ospitalità nelle orecchie, nel naso e in gola, oltre che sulla tappezzeria del nostro mezzo di trasporto, ormai diventata di una tonalità cromatica indefinibile.
PEDALANDO NEL DESERTO – “Aprire un finestrino in pieno deserto, con questo vento. Ma come ti è venuto in mente?” sembra voler dire lo sguardo del buon Mahmun, un omone massiccio, con parecchi spazi vuoti nel sorriso e una gentilezza impeccabile.
Superata la mezza crisi convulsiva e l’umiliazione per le risatine dell’autista, ci concentriamo sulla strada ancora da percorrere per arrivare al traguardo: un lunghissimo serpente d’asfalto, che si insinua prepotentemente in quello che assomiglia a un mare dorato. Un esempio di come la volontà umana abbia, ancora una volta, avuto la meglio sulla natura.
A lato della carreggiata, un dromedario distoglie per un attimo l’attenzione dal cespuglio che sta masticando avidamente per osservare il passaggio dei corridori. Uno spettacolo che al placido animale deve sembrare piuttosto insolito ma che, nel ciclismo globalizzato del ventunesimo secolo, insolito certamente non è più.
Se prima era la Challenge de la Marche Verte marocchina a portare intrepidi ciclisti a pedalare in mezzo al deserto, da qualche anno a questa parte le corse che hanno come teatro sabbia e dune – sovente e saggiamente inserite in calendario nei periodi più freschi dell’anno – non sono infrequenti, sull’onda della crescita di un movimento che ha abbattuto le barriere di un confine sino a non molto tempo fa inesplorato.
MONDIALE ROVENTE – E, oltre quel confine, in questa stagione si sono spinti anche i Campionati del Mondo su strada, per la prima volta ospitati da un Paese del Medio Oriente: il Qatar. La gara riservata agli Uomini Elite – che chiuderà la rassegna iridata il 16 ottobre prossimo – dovrebbe misurare 257,5 km, 150 dei quali in mezzo al deserto. Condizionale d’obbligo, perché nonostante i World Championships – che tradizionalmente si tengono a settembre – siano stati posticipati a ottobre, in questo mese in Qatar fa ancora un caldo impressionante. Nelle giornate in cui si gareggerà dovrebbero esserci delle massime di 36/37 gradi (minime stimate intorno ai 23/24 gradi), ma la colonnina di mercurio del termometro potrebbe salire ancora di più. Con il rischio concreto che atlete e atleti si ritrovino catapultati in un calderone rovente, in balìa di implacabili raggi solari e di temperature al limite della resistenza fisica.
Al di là del percorso, che ha fatto storcere il naso ai puristi – “troppo piatto, troppo monotono” e via dicendo – ma che presenta un indiscutibile fascino e si presta a spunti piuttosto interessanti, resta da comprendere appieno come mai si sia deciso di mettere il destino della Maglia più ambita dai virtuosi delle due ruote – nonché la loro stessa salute – al di sotto di una spada di Damocle forgiata tra le braci di un clima proibitivo. Tuttavia, alea iacta est – il dado è tratto – e l’unica cosa da fare è attrezzarsi e, stoicamente, far fronte a quello che succederà.
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CONTROMISURE – L’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) è corsa ai ripari, prevedendo delle contromisure eccezionali da adottarsi in caso di temperature estreme. Per la gara in linea degli Uomini Elite si potrebbe arrivare a una riduzione dei 150 km iniziali, per le altre gare a un decurtamento del numero dei giri del circuito. La situazione verrà valutata, con l’ausilio di un team di quattro esperti – al lavoro dalla fine di settembre -, alla vigilia di ogni sfida. Due moto in corsa, inoltre, distribuiranno acqua supplementare agli atleti e lo stesso avverrà ai villaggi di partenza, dove verranno dati acqua e ghiaccio alle squadre. Mondiale incerto, dunque, fino all’ultimo.
ISTRUZIONI PER L’USO – A luglio, inoltre, l’UCI ha stilato e distribuito alle Federazioni Nazionali un bollettino informativo dall’esaustivo titolo “Beat The Heat”, battere il caldo.
“Gli eventi ciclistici generalmente si tengono in estate, spesso in condizioni di caldo e umido.” Si legge nell’incipit. “Questo documento indaga alcune domande frequenti relative al pedalare in tali condizioni, fornendo raccomandazioni su come prevenire lo sviluppo di problematiche fisiche legate al caldo e su come ottimizzare le prestazioni.”
Il primo suggerimento riportato nel documento riguarda il miglior modo di prepararsi a una gara al caldo. Il responso è semplice: acclimatandosi. Il modo migliore per farlo è allenarsi in condizioni simili a quelle che si troveranno in gara, abituando il corpo a quelle condizioni. Per quanto riguarda il periodo necessario, la durata varia da persona a persona, anche se genericamente si può parlare di sette/dieci giorni. Se questo non è possibile, si può procedere artificialmente durante l’allenamento indoor, ad esempio facendo delle abluzioni in acqua calda o bagni di sauna per 30/40 minuti alla temperatura di 40/43° C. Queste tecniche servono a ridurre il tempo richiesto dall’acclimamento una volta arrivati sul posto. Altra necessità fondamentale è quella di mantenere una corretta ed efficace idratazione, nonché una giusta ed equilibrata alimentazione. Per quanto concerne le altre contromisure, si raccomanda di proteggere gli occhi con occhiali fascianti dotati di lenti scure in grado di bloccare i raggi UV e la pelle con creme solari non grasse. Abiti leggeri di colore chiaro possono ridurre l’effetto delle radiazioni solari, ma devono consentire una giusta traspirazione. Anche il vecchio metodo del calzino riempito di ghiaccio sul collo non è da disdegnare.
Interessante, visto la policroma presenza di categorie, è il capito riguardante i differenti effetti che il caldo produce su uomini, donne e atleti Juniores. I giovani atleti spesso non si idratano come gli adulti e, quindi, il vademecum raccomanda ai tecnici e ai corridori stessi di prestare particolarmente attenzione a questo aspetto. Le donne, poi, hanno tassi di sudorazione più bassi rispetto agli uomini durante un esercizio intenso al caldo e possono, quindi, raggiungere temperature corporee maggiori in un lasso di tempo più breve, cosa che potenzialmente le espone a un rischio più elevato di sviluppare malanni legati al caldo. L’acclimatazione per le atlete è fondamentale per aumentare la risposta della sudorazione e diminuire l’aumento della temperatura corporea dovuto allo sforzo.
INFERNO – Da una manciata di minuti a diverse ore, pedalando con ogni probabilità sotto un sole di rame, con una preghiera rivolta al vento non solo per cercare una fuga, ma anche un po’ di tregua dalla calura. Se la Paris-Roubaix è l’ “Inferno del Nord”, il Mondiale di Doha rischia di diventare un inferno e basta. Se e come si correrà, se e come andrà a finire, è una questione alla quale ancora non si può dare una risposta. Non adesso, per lo meno. Se la fatica delle ragazze e dei ragazzi che, lì, combatteranno per i propri sogni andrà sprecata, allora non ci saranno vincitori.
Un romantico direbbe che, nel mondo, esistono due soli posti dove ci si può sentire così vicini al cielo da riuscire quasi a toccarne le stelle: su una montagna e nel deserto. Ma, quando si deve stare in sella per centinaia di minuti, di spazio per il romanticismo non ne resta poi molto.