Il ciclismo olandese sembra non avere pace. Dopo le rivelazioni messe nero su bianco dall’ex prof della Rabobank Thomas Dekker, arriva un’altra pesante notizia sul movimento delle due ruote dei Paesi Bassi.
Nel 2015, nel corso di un controllo antidoping a sorpresa, infatti, era stata riscontrata la positività al nandrolone e alle anfetamine di uno juniores 17enne, Jesse Muis. Ma solo in questi giorni sono stati resi noti i retroscena svelati dalle indagini seguite al procedimento che aveva portato ad una squalifica per quattro anni del ragazzo.
A dopare Jesse Muis, infatti, sarebbe stato il padre, Theo Muis, 50enne, ex professionista dell’Orbea della fine degli anni 80 e lo avrebbe fatto all’insaputa dello stesso figlio.
L’ex professionista olandese è stato incastrato dalle indagini degli inquirenti che lo hanno condotto alla confessione: una confessione davvero drammatica che ha convinto la Commissione disciplinare della Federciclismo olandese (KNWU) a ridurre a due anni la squalifica di Jesse Muis e a comminare al padre una squalifica a vita da qualsiasi attività sportiva.
Theo Muis, infatti, ha raccontato di aver “aiutato” il figlio con ben quattro iniezioni di un cocktail di sostanze dopanti per aiutarlo a farsi strada a suon di risultati. Ma nel farlo ha mentito al proprio figlio, presentandogli quelle iniezioni come semplici iniezioni di vitamine. Theo Muis ha presentato immediata richiesta di non pubblicazione della sentenza nel tentativo di non infliggere al proprio figlio una ulteriore punizione ma la stessa federazione olandese si è opposta a questa domanda ufficializzando il procedimento e la squalifica inflitta al 50enne Theo Muis nel rispetto di quanto prescritto dai regolamenti Wada. Immediata la reazione della stampa olandese che ha riproposto la squallida vicenda sulle pagine di tutti i quotidiani locali e sportivi.
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