Dentro e fuori. Dal ciclismo, dalla FCI e dalle prossime elezioni federali. Sembra questo il destino di Angelo Francini: appassionato di ciclismo e di regole, amico e nemico di Renato Di Rocco, candidato alla presidenza nazionale in vista della prossima assemblea di Rovereto.
“Con Renato andrei volentieri a pranzo ma non posso accettare la sua visione e la sua gestione della FCI da quando è diventato presidente.” Si, perché Francini è già stato consigliere federale negli anni ’90, quando Renato Di Rocco era segretario generale della FCI: “Quando lui era segretario e io consigliere avevamo la stessa visione: io non sono cambiato ritengo che le regole vadano rispettate, lui al contrario fa ciò che vuole anche su questioni di una certa rilevanza. Non riesco a capire questo comportamento da parte sua: potrei accettarlo da altri ma non da uno che ha fatto il segretario per 15 anni”.
Le regole, le stesse per cui lei rischiava di restare fuori dalla disputa elettorale…
“Ritengo che la mia sia sta una esclusione strumentale, decretata da un organo che non aveva alcuna competenza, perché previsto da un regolamento organico del 1998 ma abolito dalla assemblea di Montecatini Terme nel 2000”.
Incidente chiuso, ora punta davvero alla presidenza o in campo ci saranno solo alleanze anti Di Rocco?
“La mia candidatura è fatta per andare fino in fondo. L’obiettivo è quello di cambiare questa federazione per riportare il movimento ad un certo livello: il primo passo per tutti gli sfidanti sarà quello di non permettere a Di Rocco di raggiungere il 50% dei consensi nel corso della prima votazione ma poi sarà sfida anche con gli altri candidati”.
Da dove bisogna partire per cambiare questa FCI?
“Prima di tutto bisogna mettere le mani sullo Statuto e sui regolamenti che attualmente sono scollegati tra loro; con queste proposte si potrà arrivare a fare in autunno una assemblea straordinaria per approvare uno Statuto più facile da interpretare e da applicare ma soprattutto che sia più attuale, pur nel rispetto delle regole del CONI. E’ arrivato il momento di creare un sistema meno complicato per eleggere i delegati, o scegliere se consentire alle stesse società di prendere parte direttamente all’assemblea: questo saranno le stesse società a deciderlo”.
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Regole nuove. Lo sa che anche Norma Gimondi ha fatto di questo tema un proprio cavallo di battaglia?
“Mi fa piacere che altri condividano quello che io ripeto ormai da dieci anni. Nel programma della Gimondi e di Roscini ho ritrovato molti temi per cui ho lottato sino ad oggi. La realtà è che una macchina complessa come quella della FCI, senza regole certe non può funzionare. Il male di questa FCI è che c’è un uomo solo al comando che ha i poteri per fare ciò che vuole e che questa situazione si ripete, in fotocopia, in tante regioni. Questo è sbagliato. La FCI deve tornare ad essere la casa di tutti. Quando un tesserato accede agli uffici federali si deve sentire come a casa propria non entrare con il timore di ritrovarsi nella tana del nemico. Lo stesso sentimento si prova quando ci si trova davanti ad un organo di giustizia federale che considera l’imputato come un criminale. Troppo spesso, poi, assistiamo a sentenze in contrasto tra loro, scollegate, senza che vi sia una linea giurisprudenziale. Così non si va da nessuna parte”.
E dal punto di vista tecnico? Di Rocco non perde occasione per ricordare i successi internazionali ottenuti dagli azzurri…
“Sono tante le cose che vanno sistemate anche qui. Il ciclismo è cambiato negli ultimi anni e invece noi siamo fermi da anni. A me, però, non piace pensare ad un presidente che decida tutto: il presidente deve dirigere ma, allo stesso tempo, deve essere alla pari dei consiglieri federali che a loro volta hanno la responsabilità di portare avanti quello che decide l’assemblea, in modo democratico. Sul numero di medaglie è facile fare la somma dopo che i titoli in palio sono stati moltiplicati negli ultimi anni ma fare il conto dei risultati non equivale a dire che alle spalle ci siano una scuola e una tradizione che funzionano. La teoria delle statistiche immutate rispetto al passato è una bufala che resiste solo grazie ai numeri del ciclismo amatoriale: io credo che dobbiamo tornare a valorizzare il ciclismo agonistico che altrimenti verrà sopraffatto da quello amatoriale”.
Nel 2001 se ne è andato affermando di non accettare quel sistema ciclismo, perché ha scelto di tornare con una candidatura così importante?
“Sono rientrato nel 2011, in occasione della Assemblea Straordinaria di Bologna ma da allora gli scontri con Di Rocco e il segretario Gabriotti si sono ripetuti. Questo modo di fare ciclismo deve finire: non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale. Il ciclismo ha pagato a sufficienza per i problemi degli altri sport, è arrivato il momento di cambiare. E’ inaccettabile che gli atleti debbano essere sottoposti ad un regime di semilibertà o subire controlli alle sei del mattino o, ancora, che vengano effettuati esami anche a distanza di anni sui campioni prelevati mentre il regolamento WADA prescrive che quegli stessi campioni potrebbero essere utilizzati solo per fini di studio e in maniera anonima. Tutte anomalie che danneggiano l’immagine di questo sport e la vita dei nostri atleti a cui bisogna porre rimedio”.
Cosa si aspetta dall’assemblea di Rovereto?
“Spero che la gente ascolti quello che avrò da dire e che capisca che questa volta in ballo c’è il futuro del ciclismo. La Federazione potrà sopravvivere ad altri quattro anni di Di Rocco ma il ciclismo italiano rischia di regredire in maniera irrecuperabile”.
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