Sabato 14 gennaio, Carlo Roscini andrà “in gita” a Rovereto. In terra trentina, il presidente del Comitato Regionale Umbro della FCI, non ci andrà nelle vesti ufficiali di uno dei quattro candidati alla Presidenza nazionale federale, ma comunque sarà presente. “Dopo il provvedimento di inibizione che ho subito la scorsa settimana non potrò accedere ai locali dove si svolgerà l’Assemblea e non potrò parlare all’Assemblea ma a Rovereto sono comunque libero di andare. Ci andrò a spese mie, non sono mica agli arresti domiciliari!” Trova così il motivo per sorridere Carlo Roscini, punito dal Tribunale Federale con tre mesi di inibizione per non aver permesso la convocazione di due atleti juniores allo scorso Giro della Lunigiana: “Al momento della candidatura non ero ancora inibito e pertanto resto in corsa per la presidenza”.
Ma scusi, Presidente: lei è già presidente regionale in Umbria, aveva un buon rapporto con Renato Di Rocco, chi gliel’ha fatto fare di candidarsi anche a livello nazionale e beccarsi l’inibizione?
“Io potrò continuare a lavorare per la mia Regione ma lo spirito del servizio mi ha portato a mettermi a disposizione per questo nuovo ruolo. Ero e sono consapevole che questo ha scatenato malignità nei miei confronti, ma credo che la gente sappia giudicare la critica costruttiva dalle maldicenze”.
A parte le questioni personali, cos’ha in mente per la Federazione che verrà?
“Vorrei dare vita ad una Federazione che sia al servizio della società, dei tesserati e dei comitati regionali e provinciali. Ho massimo rispetto per questa istituzione ed è per questo motivo che ho annunciato la mia intenzione di candidarmi nel corso del Consiglio dei Presidenti Regionali. Non sono contro nessuno ma per costruire qualcosa di diverso: una federazione più vicina al territorio e alla base, che ne sappia condividere, apprezzare e soddisfare la sensibilità e i bisogni. E’ evidente che questo negli ultimi anni non è avvenuto: i comitati regionali hanno avuto sempre meno importanza. Si figuri che nell’ultimo Consiglio dei Presidenti Regionali si sarebbe dovuto discutere del bilancio preventivo della FCI, ma ci sono state messe a disposizione solo due ore. Dal punto di vista formale il requisito è stato soddisfatto ma che voce abbiamo avuto, noi presidenti regionali, sulle scelte politiche operate da questa federazione? Quel consiglio equivaleva a dirci: vi abbiamo chiamato perchè si doveva ma potete andare a casa, tanto non ci interessa quello che dite”.
Lo sa che Di Rocco rivendica invece di essere stato presente su tutto il territorio?
“Effettivamente un record lo ha: quello dei commissariamenti dei comitati regionali e provinciali. I dirigenti a livello periferico non chiedono di essere coperti ma almeno di essere tutelati…”
E’ per questo che ha litigato con Di Rocco? Tra voi due c’era sempre stato molto feeling…
“Non abbiamo avuto litigi. Semplicemente abbiamo una visione diversa di quello che deve essere i futuro della FCI. Oggi è una struttura appesantita, burocratica e distante dalla realtà. Dobbiamo riportare la dirigenza alle radici, sempre più vicina a chi pratica questo sport. Invece mi sono sentito dire che i comitati regionali e provinciali sono solo un peso: se così fosse realmente, sarebbe bene chiuderli, non sopportarli come si sta facendo senza tener conto delle istanze che questi portano avanti. Bisogna ricordarsi che i risultati che il Presidente Di Rocco vanta sono frutto del lavoro delle nostre società di base e dei nostri atleti”.
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Eppure, lei porta proprio l’Umbria come esempio da esportare in altre parti d’Italia. Come mai?
“La mia è una piccola regione che però è un vanto per tutta la Federazione. Abbiamo il numero più alto, in termini assoluti, di impianti dedicati al ciclismo con ben 9 ciclodromi e siamo al terzo posto nel rapporto tra tesserati e popolazione. Questo è stato possibile perchè l’impegno di società e i dirigenti è stato riconosciuto dalle autorità locali che ci vedono come degli operatori credibili ed affidabili. Questo credo sia quello che è mancato in altre parti d’Italia. Poi se mi dice che si può fare di meglio le rispondo che è impossibile accontentare tutti”.
Lo ripete anche Renato Di Rocco…
“Con la differenza che a livello nazionale la percentuale degli insoddisfatti è ben più elevata. Di Rocco ha vinto contro un mare di schede bianche otto anni fa e sul filo di lana a Levico nel 2013. Potrebbe farcela anche questa volta per una manciata di voti ma questo significa che anche se il 55% dei delegati sono con lui, la maggioranza dei tesserati guarda altrove”.
In cosa è mancata la FCI in questi anni secondo lei?
“Non sono mai stati dati alle regioni degli obiettivi da condividere e da raggiungere. Non è possibile che il programma da realizzare sia deciso solo da una persona”.
Sabato andrà in gita a Rovereto con quali speranze?
“L’obiettivo è avere un Consiglio Federale che esca dall’Assemblea con la volontà di lavorare e di ascoltare la base, aldilà di tutte le divisioni interne. L’importante è che vengano elette persone che abbiano voglia di mettersi in gioco per il bene di questa Federazione. E poi, lo sa, vengo da una terra di santi e predicatori: auspico che in federazione, anche tra i dirigenti, torni ad esserci quello spirito di amicizia e di goliardia che non c’è più da troppo tempo e che, invece, permette di fare squadra. Aldilà della serietà che ci deve essere nelle decisioni che si prendono, ritengo sia necessario recuperare l’atmosfera che si respira tra le società che ogni giorno operano per allestire dei team o per mettere in piedi delle organizzazioni. Sono queste le persone eccezionali che solo per passione si mettono in gioco e si prendono delle responsabilità: lo stesso spirito deve animare anche chi lavora all’interno della federazione”.
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