Esostosi. Ha un suono quasi poetico questo termine medico dall’etimologia greca. Altro non significa che qualcosa che esce dall’osso. Vista così non fa timore. Ma leggendo sui libri di medicina, tumore osseo benigno che si manifesta attraverso la formazione di escrescenze ossee rivestite di cartilagine, fa tremar le gambe. Soprattutto a un ragazzo di 23 anni, atleta in piena forma e attività fisica che per paradosso, con le sue gambe ci lavora. Ed “esostosi” è una parola che accompagnerà per sempre la vita di Luca Sterbini, ormai ventiquattrenne corridore, al quale si deve aggiungere l’ex, laziale di Olevano Romano.
Un calvario il suo fatto di dolore fisico, ma anche di tanto dolore dell’anima per aver dovuto abbandonare la bicicletta, per questo pezzettino di osso in più che ormai si è insediato nel suo ginocchio e non se ne vuole andare. La vita ciclistica di Luca Sterbini, tra alti e bassi, come tutti i corridori del resto, era culminata con il passaggio al professionismo. Un contratto arrivato proprio quasi in extremis, un “due per uno” assieme al fratello Simone, ex campione italiano su strada under23, alla Bardiani della famiglia Reverberi.
Un corridore posato, Luca, pieno di voglia di esprimere le proprie potenzialità, veloce sul passo, buona tenuta in salita, fisicone da granatiere, buono per le classiche del Nord. Un lungagnone come il fratello che tanto aveva da dire al ciclismo. “Il rammarico è questo – racconta Luca Sterbini, dopo un inverno trascorso tra alti e bassi, tra il recupero fisico, la testa che proprio non vuol capire il perché la bicicletta non farà più parte della sua vita e la voglia comunque di guardare a un nuovo futuro -. Sono finito anche io in una sorta di baratro in cui dovevo capire davvero chi ero. E vedermi senza quel mezzo che per anni è stato la mia compagna”.
La ricerca affannosa di una nuova squadra che gli permettesse di tornare a correre, la scelta tra le varie proposte, le più disparate, avanzate in un ciclismo che troppo spesso non guarda più all’uomo ma solo al risultato e all’immagine, in un ciclismo che si è dimenticato di mettere al centro non solo l’atleta ma la persona. E la difficoltà di convivere comunque con un problema fisico difficile da sconfiggere. “Il baratro inizia con la caduta al Giro del Mediterraneo il 12 febbraio del 2016 – spiega Luca Sterbini, ritrovando la voglia di raccontarsi dopo tanti mesi di buio -. Una botta terribile al ginocchio destro. Si gonfia il ginocchio, e pensare che avevo vestito la maglia dei Gpm. Le provo tutte pur di continuare a correre. Impacchi, creme, tutto ovviamente seguendo le disposizioni mediche dettate dal team. Un po’ di riposo, poi salgo in bici. Le convocazioni alle Strade Bianche, poi le convocazioni a corse importantissime in Olanda e Belgio. E io forzo la condizione anche se quel ginocchio non vuol rispondere come dovrebbe. Come invece risponde il mio fisico. Io sto bene, mi sento bene, ho voglia di dimostrare quanto valgo ma proprio quel bozzo che si è insinuato sulla tibia e sul legamento come un mostro che mi divora e mi mangia proprio non se ne vuole andare. Il Giro di Croazia è il mio calvario vero. Pedalo e la gamba mi da scosse terribili. Soffro, pedalo, resisto. Ad un certo punto cedo e chiedo al team di tornare a casa. A mie spese comincio a fare tutte le verifiche mediche, visite, riabilitazione, massaggi, risonanze, l’impossibile insomma. Non mi voglio arrendere. Poi l’esito, terribile. Esostosi. Io manco sapevo che esistesse un termine simile o un tumore benigno così insidioso, cattivo”.
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La parabola discendente inizia il 29 giugno del 2016. “Entro in ospedale a Brescia e facendomi carico di tutte le spese sanitarie mi sottopongo a intervento chirurgico. Tanti i soldi sborsati di tasca mia ma per la salute questo e altro”. Luca Sterbini inizia la riabilitazione. Voleva attendere l’intervento grazie al servizio sanitario nazionale, ma i tempi di attesa non gli permettevano lungaggini. “Volevo risalire subito in sella. Tornare ad essere un atleta, un corridore, dimostrare che l’investimento fatto su di me dalla Bardiani era importante, aveva valore”.
L’appoggio del diesse Stefano Zanatta non è mai mancato. “Devo davvero ringraziare Stefano Zanatta – rammenta Luca Sterbini -. Una persona speciale, non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno. Poi purtroppo è arrivata la doccia fredda. Ancora non camminavo ad agosto e mi è stato notificato che non mi sarebbe stato rinnovato il contratto. Immaginatevi la disperazione, il baratro. Ammalato, con voglia di recuperare e come si dice in gergo, a piedi, senza squadra. Un periodo buio dal quale sto lentamente uscendo. Ringrazio comunque la famiglia Reverberi di avermi dato fiducia come corridore quando mi hanno preso nel loro team, puntuali nei pagamenti, nella organizzazione. Poi mi sono sentito lasciato solo. Amen, una parentesi importante nella vita. Evidentemente il mio destino era altro”.
Una confessione fatta da Luca Sterbini che è sempre stato un corridore e una persona seria, riservata, e un gran pedalatore. “Ecco un messaggio voglio lanciare al mondo del ciclismo, ai team manager, ai direttori sportivi e agli sponsor. Non usate e gettate via i corridori come calzini vecchi alla prima difficoltà. Certo, ci sono atleti che ci provano ma non è magari il loro mestiere. Tornate a imparare a distinguere il campione, l’atleta, il buon corridore o il lavativo. Tornate a guardare prima la persona poi i risultati. E soprattutto a riconoscere le potenzialità di un corridore. Non spezzate subito i sogni. Per fortuna io ho trovato una seconda famiglia a Bergamo, grazie anche a Olivano Locatelli e alla mia ragazza, Elisa, la mamma Grazia, i miei genitori. Collaboro alla Rsport Rpromo del mio suocero, aiutiamo i piccoli team nell’abbigliamento dopo gara. Per quelle squadre che hanno possibilità risicate. Il ciclismo si deve ricostruire anche dalla base, anche dalle piccole cose come il mio nuovo lavoro”.
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