Il kibbutz è una forma associativa volontaria di lavoratori dello stato di Israele, basata su regole rigidamente egualitaristiche e sul concetto di proprietà comune. Il kibbutz è nato come ideale di eguaglianza, di lavoro a favore della comunità; questo comporta per ogni singolo individuo appartenente al kibbutz l’obbligatorietà di lavorare per tutti gli altri e in cambio, al posto di denaro, ricevere semplicemente i frutti del lavoro comune, evitando così alla collettività di cadere nelle mani di quello che viene considerato il consumismo di stampo occidentale.
Entrare nel Valdarno ciclistico è un po’ come entrare in un Kibbutz. Una realtà che si autosostiene, che auto–coopera all’organizzazione di gare, al reperimento di sostanze economiche e tutto ciò che serve a mettere in cantiere una corsa, a partire dai giovanissimi sino ai dilettanti. Una sorta di famiglia allargata dove ci sono alcuni capo–famiglia che gestiscono “l’economia organizzativa”.
Negli anni c’è chi ha acquistato transenne, chi i baracchini per radio corsa, altri ancora il podio a tre gradini e via con tutto ciò che serve per organizzare una gara. Anche senza le squadre del Nord, le gare lì in Valdarno, specie quelle per i dilettanti, si disputerebbero ugualmente. I team ci sono lo stesso, non serve tanto andare fuori dalla zona che si divide tra San Giovanni Valdarno, Terranuova Bracciolini, Montevarchi, Pian di Sco e Castelfranco di Sopra, Figline e Incisa Valdarno, Bucine e Penna, Mercatale, Cicogna e Loro Ciuffenna. Gira e rigira i percorsi sono sempre gli stessi, gli strappi, le salite, dalle Balze a Piantravigne e Montemarciana.
Per quanto la giri sempre le stesse strade sono, anche se cambiano i nomi della intitolazione della corsa. Fuori dal kibbutz non ci esci. Tutto resta all’interno. Dalle “baruffe” alle divisioni politiche, in una zona storicamente rossa un po’ come i kibbutz appunto con qualche piccolo spiraglio verso il nero e il verde. Ma con le gambe sotto il tavolo, a mangiare le penne al ragu’ piccante di cinghiale, vanno tutti d’accordo.
“Qui ci si aiuta tutti. Una grande famiglia, quando c’è un problema ci sono sempre le persone disposte ad aiutare chi è in difficoltà. Se salta una corsa o c’è il rischio non si possa fare, la comunità allargata interviene – racconta Fabrizio Carnasciali direttore di gara di tutte le corse del Vadarno, come lo chiama qualcuno scherzando, il ras del quartiere -. Si cerca di fare al meglio. Negli anni ci siamo consolidati nell’organizzazione. Certo le sbavature ci sono, come dappertutto, ma si cerca sempre di fare il meglio”.
E a chi gli chiede : Si parla tanto di sicurezza ma negli arrivi tirate una corda e le transenne sono un po’ vintage pronto, l’ex calciatore diventato giudice di gara e poi direttore di corsa e organizzatore risponde: “Nella nostra area mettiamo in cantiere quasi quaranta gare solo per dilettanti. Non ci fossero queste il dilettantismo andrebbe a morire. Le corse sono sparite un po’ dappertutto, dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia, Lazio e Umbria azzerati, così le Marche. Chi vuol correre deve venire qui”.
In gran parte la zona del Valdarno offre ai team il pernottamento in albergo, altre volte pure il rimborso. Dipende dalle annate e da quanti soldi si tirano su. “Da noi vale ancora il porta a porta. Quasi ogni sera suono il campanello della casa di qualche amico o amico di amico. E tra un bicchiere di Chianti e un cantuccino riesco a far tirar fuori qualche soldino. A volte sono poche decine di euro, a volte di più. Dipende dalla buona volontà della famiglia o dell’artigiano o della piccola impresa. Sto anche pensando di mettere in pratica ciò che fate nel Veneto. Entrata a pagamento per la gara. Mettere delle transenne in posti chiave e chiudere il percorso. Magari mettere una cassettina con offerta libera. Scusate, quando andate allo stadio, anche solo per vedere una partita di serie inferiore, non pagate almeno tre o cinque euro? Perché non farlo anche nel ciclismo? In questo modo si aiuterebbero le società a far svolgere attività giovanile. Non sarebbe male poter far crescere in seno ad una squadra di dilettanti anche qualche categoria inferiore, per non rischiare di trovarsi con il serbatoio di corridori vuoto tra qualche anno”.
Un sistema insomma che alimenta se stesso. “Ci tengo a precisare che comunque – continua Carnasciali – finché ci sarà gente che ha la passione, la voglia di suonare i campanelli, queste corse si faranno. I giovani adesso preferiscono andare al pub con gli amici, o divertirsi la sera. Non è semplice crescere collaboratori con la voglia di perdere le domeniche dietro alle corse o le sere al circolo per organizzare”.
Eh si, circolo. Perché il Kibbutz Valdarno vive ancora di Circoli Arci o Acli, o altre sigle ormai in via di estinzione, ma rimaste forse l’unico punto di raccolta e riferimento per gli anziani dei “paesi delle corse”. Un sistema che si alimenta e si diverte anche da solo, con grandi cene che finanziano le gare, tombole o pesca. Manca solo l’albero della cuccagna. E Carnasciali ha promesso che a Mercatale ci sarà.
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