Il sipario è calato anche sulla settimana iridata di Bergen e il medagliere parla chiaro: l’Italia ha vinto più di tutti e più di sempre. Sette medaglie non si erano mai viste per il Belpaese. La barca italiana tra i fiordi norvegesi ha viaggiato spedita, con il vento in poppa, eppure il Campione del Mondo di Bergen è Peter Sagan.
MEDAGLIE DA PESARE – I saggi dello sport sostengono che le medaglie vanno “pesate” e non semplicemente “contate”. Non tutte le gare, non tutte le vittorie e non tutti i piazzamenti di una settimana iridata, infatti, hanno lo stesso valore. Inutile nascondere che la prova più attesa da tutti e più ambita da tutte le nazioni è da sempre quella dei professionisti, ben vengano le donne elitè, il resto sono giovani. Speranze, ma non ancora campioni. Gare che servono per completare la settimana dell’UCI o poco più.
Il Campione del Mondo, quello con la “C” maiuscola è Peter Sagan. Meglio ripeterlo, a scanso di equivoci. E se contro un fenomeno delle dimensioni dello slovacco era impossibile fare di più del quarto posto centrato da Matteo Trentin, non si può comunque negare che l’Italia, in terra norvegese, ha saputo essere grande solo con gli juniores. Mentre si è fatta piccina piccina quando è arrivato il momento degli under 23, delle donne elitè e dei professionisti.
Bene per le ragazze e i ragazzi che sono saliti sul podio iridato. Da Antonio Puppio a Luca Rastelli e Michele Gazzoli, passando per Elena Pirrone, Alessia Vigilia e Letizia Paternoster hanno fatto il loro e sono stati giustamente ripagati dalla strada. Ma come mai il dominio azzurro si ferma alla categoria juniores?
METEORE O SPERANZE REALI? – Il mondiale juniores lo hanno già vinto in passato ragazzi come Diego Ulissi, Damiano Cunego e Giuseppe Palumbo ma anche ragazze come Eleonora Patuzzo. Per alcuni è stato un trampolino di lancio ma per molti altri si è trattato di un fuoco di paglia. Di fatto, però, oggi, nel 2017, l’Italia è leader della categoria juniores maschile e femminile, su strada e su pista, a crono e nelle prove in linea. La speranza è che, in prospettiva, ad attenderci ci sia un futuro fatto di successi prestigiosi. Il timore, invece, è che queste vittorie e questi risultati siano solo il frutto di una categoria che nel nostro Paese è da sempre, ma oggi forse ancora di più, esasperata e avvelenata. Ed è proprio questa la chiave di lettura che spiega come mai, anche a Bergen, l’Italia non sia riuscita a brillare anche tra gli Under 23 e tra i prof. Tutto è subito, per poi risolversi in un nulla.
Il campanello d’allarme è suonato forte per l’Italia anche sulle strade norvegesi. Ben vengano i festeggiamenti per le sette medaglie ma attenzione: che siano solo un passaggio, non l’obiettivo di un’intera “vita agonistica”. Altrimenti ci troveremmo di nuovo di fronte a delle meteore del pedale, l’ormai proverbiale “carne da macello” usata, sfruttata, spremuta nei suoi anni migliori, e continueremo a restare con le mani vuote quando a correre saranno i Campioni.
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