Ha fatto scalpore quanto accaduto sabato a San Ginese di Compito (Lu). Durante la corsa lucchese, infatti, l’allontanamento di entrambe le autoambulanze ha costretto gli organizzatori a sospendere momentaneamente la prova. Le condizioni meteo, però, con pioggia e freddo che stavano attanagliando il gruppo, hanno consigliato di far ripartire ben presto il plotone a velocità controllata nonostante l’assenza dei mezzi di soccorso sanitari.
LA PRIMA… SAFETY CAR – Per la prima volta, quindi, il ciclismo ha vissuto una situazione regolata dalla “safety car” sino al ritorno delle ambulanze, quando ha potuto riprendere regolarmente corso la sfida: una scelta coraggiosa e profondamente saggia, quella assunta dalla direzione di corsa che ha consentito di non falsare la gara e, allo stesso tempo, ha preservato la salute e l’incolumità di tutti i partecipanti. Ma una decisione del tutto innovativa e, quindi, anche rischiosa per chi ha la responsabilità della gara: cosa sarebbe accaduto se uno solo dei partecipanti fosse finito a terra riportando gravi lesioni?
Il problema è ricorrente e la tematica si ripropone con sempre maggiore frequenza soprattutto nelle gare riservate alle categorie giovanili.
MEDICI DI GARA: CATEGORIA DA… INVENTARE – A decidere, in questi casi, è la direzione corsa ma gli input devono sempre, forzatamente, arrivare dal medico di gara. Una figura spesso estranea al mondo delle due ruote che deve capire in pochi istanti lo stato di salute degli atleti incidentati e disporre eventualmente il loro ricovero in ospedale. Da questa decisione dipende, di conseguenza, anche la regolarità della competizione o la sua eventuale sospensione.
Una figura fondamentale, quella dei medici di gara, che però non ha alcun riconoscimento da parte della FCI: a seconda delle conoscenze personali degli organizzatori, infatti, in carovana si può trovare un cardiologo, un fisiatra, un gastro-enterologo o un medico di base. Un dottore alla sua prima gara ciclistica o un navigato esperto di eventi sportivi.
Dettagli, questi, che fanno una grande differenza nella gestione del momento di emergenza e che, inutile dirlo, potrebbero fare la differenza anche per chi resta coinvolto nelle cadute.
Anche nel 2018 la FCI ha regolamentato l’altezza delle ammiraglie, la presenza o meno dei direttori sportivi in ammiraglia ma si è scordata dei medici di gara. Fatti come quelli di San Ginese evidenziano la necessità di mettere nero su bianco un protocollo per la gestione di questi episodi e di creare la categoria dei “medici di gara” con tanto di corsi e aggiornamenti sulla falsariga di quanto si fa per i direttori di corsa e per i tecnici.
PROTOCOLLO D’EMERGENZA – L’esperimento della prima safety car ha avuto successo tra gli addetti ai lavori: ha consentito di “salvare” una competizione, di far giungere la corsa al traguardo senza enormi ritardi e senza togliere dal programma alcun chilometro. I rischi, in regime di velocità controllata, sono stati effettivamente azzerati e gli atleti non hanno subito le conseguenze del freddo e delle intemperie. Dunque San Ginese potrebbe fare da “modello” per un eventuale protocollo di gestione dell’emergenza: neutralizzazione di una parte di gara senza che vi sia la necessità di mettere il piede a terra.
Allo stesso tempo, però, deve essere avviata una vera e propria opera di formazione dei “medici di gara”: in molte occasioni, infatti, il ricovero d’urgenza in ospedale dell’atleta può essere evitato con qualche semplice accortezza pur senza sottovalutare la gravità della situazione. La casistica è ormai tale e tanta da poter costituire una vera e propria antologia in materia: su questa si dovrebbe investire per far crescere una categoria di professionisti in grado di integrarsi appieno con la macchina organizzativa che cura l’allestimento di una gara ciclistica.