La notte in questo periodo non scende mai. Il sole si staglia all’orizzonte di fronte al golfo di Finlandia, perché dalla sua piccola laguna Tallinn guarda direttamente la penisola scandinava. Conquista di danesi prima, di svedesi poi e infine parte della Unione Sovietica , annessa con costrizione per quasi cinquant’anni e poi subito liberatasi, l’Estonia è un paese giovane, indipendente, altamente tecnologico e molto più europeo di tanti altri paesi che l’Europa l’hanno creata.
Lo sviluppo molti paesi lo ottengono anche attraverso lo sport e spesso e volentieri il motore che muove turismo, dinamicità , gioventù è il ciclismo. Da quando le Repubbliche Baltiche si sono rese in dipendenti dalla ex Unione Sovietica, ridottasi poi a Russia, la prima di queste l’Estonia, il riscatto dell’immagine lo si è avuto su due ruote. Una scuola di ciclismo, tante piste ciclabili , tanto verde, ma anche tanto vento. Zero salite, purtroppo, i tracciati però favoriscono i velocisti. E il Giro dell’Estonia questo fa emergere. Velocisti di rango alla Kirsipuu. Nascono prima, negli anni Ottanta i gran premi di Tallin e Tartu, ma è proprio quando gli estoni riescono a liberarsi dal giogo sovietico che possono tornare a nuova vita. E dai primi anni Duemila combinano a nascere le corse per team professional e Continental.
E da questa edizione nasce a tutti gli effetti il primo Tour of Estonia, gara 2.1. Anche se tutti gli effetti ci sono vincitori di rango, come dicevamo, da Jaan Kirsipuu a Tomas Vaitkus. Persino Angelo Furlan vinse il Gp Tallin -Tartu per due edizioni nel 2011 e nel 2013, o l’inossidabile Eduard Grosu con la Nippo Fantini che vinse a ripetizione da queste parti. Sale di categoria insomma il Giro dell’Estonia, giro a tutti gli effetti, anche se il territorio della repubblica baltica non può offrire ne uno Stelvio ne tantomeno una presa del Montello.
Pianura pianura pianura, verde verde verde, campi, campi, campi, mucche tante, pascoli, vento e mare. Un modo per imparare a fare i ventagli che in Italia di sono dimenticati. E proprio di squadre “italiane” manco l’ombra, se non la bulgara Trevigiani. Almeno il coraggio di andare controvento loro l’hanno trovato.
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