E’ uno strano destino quello della pista italiana. Un mondo che sembra destinato a non poter mai essere felice, almeno del tutto. All’indomani del successo del quartetto azzurro all’Europeo Elitè di Glasgow sono molte le considerazioni che affollano la testa e il cuore degli appassionati italiani.
Il ritornello, anche in Scozia, sembra ripetersi: “Italiani brava gente. Un popolo abituato ad arrabattarsi tra mille difficoltà e, proprio per questo, capace di emergere proprio quando gli altri li considerano spacciati”.
LA DIFFERENZA TRA FAVOLA E MIRACOLO – Ma la favola della pista italiana è cosa ben più complessa di un semplice clichè che potrebbe assimilare i ragazzi di Marco Villa a quelli di Marcello Lippi che nel 2006 conquistarono il mondiale di calcio. Troppo facile complimentarsi con i tecnici e lo staff della nazionale italiana, troppo poco applaudire cinque straordinari atleti. Il tempo delle strette di mano e delle pacche sulle spalle è passato.
Perchè, intendiamoci bene, quello compiuto a Glasgow da Marco Villa e dai suoi ragazzi è un autentico miracolo. Frutto di tanti anni di lavoro e del talento di un gruppo costruito con pazienza certosina. Elementi che sono stati in grado di superare anche l’assurda impossibilità di affinare la preparazione in un impianto adeguato nelle ultime settimane che hanno preceduto gli Europei di Glasgow.
Montichiari chiuso, con il tetto che perde acqua, il parquet lasciato marcire e senza la documentazione necessaria a garantire la sicurezza. La nazionale che si ritrova a girare nell’ormai obsoleto Vigorelli: pista mitica ma in odore di pensione per misure e tipologia dell’anello, ormai lontano dagli standard mondiali. E poi il passaggio a Fiorenzuola, prima di ritrovarsi tutti nella terra dei Celti. E lì, improvvisamente, tutte le difficoltà affrontate nelle passate settimane, sono divenute un bagaglio tecnico in grado di fare la differenza.
Tutto questo a qualcuno potrebbe far tornare in mente gli allenamenti dei vecchi campioni che giravano con le ruote di piombo o con lo scatto fisso per poi “volare” nel giorno della corsa. Ma non è così, raccontare questa favola significherebbe voler negare l’evidenza dei fatti.
ALTOLA’ A CHI SALE SUL CARRO DEI VINCITORI – L’Italia deve ringraziare Viviani, Ganna, Bertazzo, Scartezzini e Lamon e anche le ragazze d’oro che hanno conquistato (questa volta) l’argento. Dovrebbe fare una statua a Marco Villa, per l’impresa compiuta dagli azzurri. Ma chi dall’alto della propria scrivania ha lasciato cadere a pezzi il velodromo di Montichiari, come quelli di Roma, di Monteroni e tanti altri in tutta la penisola, senza alzare un dito, chi ha ritardato all’infinito la costruzione del Velodromo di Treviso e ha ridotto alla povertà gli altri centri pista di tutta Italia, dovrebbe iniziare a provare un senso di inadeguatezza e pure un pò di vergogna: la verità è che questa Italia, questa dirigenza del “ciclismo italiano” non si merita questi Campioni e non merita nemmeno di applaudire le loro imprese per coprire le proprie gravi responsabilità.
E allora se a Glasgow “l’Italia s’è desta” che sia il movimento, quello fatto di tecnici che si adoperano a gratis e di sogni di tanti ragazzini che girano sugli anelli italiani tra crepe, reti arruginite dal tempo e in sella a dei vecchi “cancelli d’acciaio”, a trarne beneficio e visibilità. Così hanno iniziato a correre i campioni di oggi e solo così si potrà far nascere un’altra generazione di Campioni in grado di raccogliere l’eredità di Viviani e compagni. Altrimenti, avremo solo applaudito all’impresa di Glasgow e, domani, ci ritroveremmo nuovamente a dover ripartire da zero.
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