Per gli etruschi l’Amiata era la terra sacra, dove dimorava la loro divinità più importante: Tinia. E Tinia sia… La massima divinità etrusca venerata dal misterioso popolo degli Etruschi, che nelle viscere di questo antichissimo vulcano, alle cui basi si sprigionano delle importanti fonti termali come quelle di Bagni San Filippo e Antiche Terme Vignoni, ha protetto la scalata dei corridori sulla vetta, a 1738 metri di altitudine. Una pedalata comunque agile per una salita ad un monte che è molto simile e ben più corta di quella ad esempio del Monte Grappa o del Cansiglio.
Una pedalata che è servita a scremare il gruppo ma non a fare la differenza che si sperava. Amiata ricca di miniere metallurgiche, era l’oro degli Etruschi ed in seguito dei romani. Vi estraevano metalli utilizzati per forgiare armi o per uso domestico. Ma solo alla fine dell’Ottocento venne aperta una delle più importanti miniere di mercurio del mondo (seconda per ricchezza solamente a quella di Almaden in Spagna). L’attività di estrazione e trasformazione del cinabro (da cui si ricava il mercurio), contribuì enormemente allo sviluppo industriale ed economico di Abbadia San Salvatore e del territorio. Il cinabro, materiale inquietante ed esoterico, tossico per l’uomo, è un materiale che si trasforma. Utilizzato come perifrasi in filosofia da Immanuel Kant come esempio nella complessa dimostrazione di una regolarità delle apparenze (fenomeni). Per la sua capacità di trasformarsi in mercurio, il cinabro è alla base di tutto il pensiero alchemico cinese dell’antichità, e riveste un ruolo di primaria importanza anche nelle tecniche di longevità e di ricerca dell’immortalità, proprie del Taoismo. E nel taoismo si parla pure di campi di cinabro considerati certi luoghi del corpo sede di trasformazioni e di mutazioni. Il cinabro è nell’alchimia cinese la materia prima della pietra filosofale. In altre parole, il cinabro è il materiale di base per l’elaborazione dell’oro nell’alchimia esterna e dell’elisir di immortalità nell’alchimia interiore.
Il cinabro è insomma simile alla trasformazione del corridore quando affronta la salita. In molti casi il corridore di fronte alle pendenze si esalta in tutti gli altri si ammorba, si accascia, si annienta. La salita del cinabro alla vetta del mons Tuniatus-Montuniata, così come lo chiamavano i romani, può essere tossico per chi non regge i quasi 12 chilometri di salita. Una tappa strana quella del Monte Amiata, che non ha fatto la selezione che ci si attendeva. Ma che ha messo in evidenza comunque le qualità degli stranieri e la loro capacità di soffrire più dei corridori azzurri. Sarà il cinabro, sarà il mercurio trasformato, ma i pesci azzurri hanno abboccato ai giochini dei team stranieri che non hanno dato spazio ai corridori italiani.
Quattro stranieri, Viktor Verschaeve della Lotto Soudal che sgasa sul cambio e domina la tappa dell’Amiata, tallonato da Wildauer della Tirol, Bayembayev della Astana e il colombiano Pena Jumenez a gestire le posizioni in seconda battuta sulla salita etrusca. A nulla possono i tentativi ritardatari di Alessandro Teodoro Monaco e Alessandro Covi. Ma Ardila con Rubio alle spalle non si arrende e uscito come un lancio di fionda dal gruppetto inseguitore si mette in caccia di Vershaeve e lascia con un palmo di secondi il belga dominatore della tappa. Questa volta la vetta dell’Amiata non la conquistano gli Etruschi bensì i colombiani che scombinano la classifica e sul monte toscano danno vita letteralmente ad uno show.
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