Il segno più di questa settimana va a quegli atleti e alle squadre che, nel rispetto del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, anche in assenza di un indirizzo federale, hanno deciso di fermare la propria attività. Aldilà del rispetto dell’obbligo giuridico va riconosciuto a questi team e a questi atleti il giusto senso civico nell’affrontare un problema così grave ed importante come quello rappresentato dal coronavirus. Per vincere questa battaglia serve che tutti stiano a casa: ed è questa l’unica vittoria a cui anche il movimento delle due ruote, in questo momento, deve puntare.
Il segno meno va, purtroppo, di nuovo alla Federazione Ciclistica Italiana: in una emergenza così grave le indicazioni ai ciclisti sono arrivate solo con un gravissimo ritardo.
Nelle scorse settimane era lecito attendersi più coraggio da parte della FCI nel difendere le gare italiane proprio come sarebbe stato doveroso che, con l’entrata in vigore dell’ultimo decreto, lo stesso presidente Renato Di Rocco si facesse carico di impartire un ordine chiaro a tutti gli appassionati pedalatori.
E, invece, la FCI si è limitata a pubblicare uno scarno comunicato emesso solo nella giornata di ieri dopo che per colmare questo vuoto comunicativo erano già intervenuti il ct Davide Cassani, con il suo appello rivolto ai cicloamatori e alcuni presidenti regionali come Igino Michieletto per il Veneto, Stefano Bandolin per il Friuli Venezia Giulia, il comitato brianzolo e tanti altri enti locali che hanno spiegato a chiare lettere che l’attività, compresi gli allenamenti, per tutte le categorie andavano sospesi. Questa volta il messaggio è arrivato troppo tardi…