Dopo il Coronavirus c’è un’altra malattia che sta attaccando il mondo delle due ruote in questi giorni: la “calendarite”. Una sorta di perversione che ha portato i dirigenti del ciclismo a mettere, subito dopo il lockdown, nero su bianco calendari come se non ci fosse un domani nel tentativo di domare l’emergenza, nell’illusione che tutto possa tornare come prima con un semplice schiocco di dita.
TUTTI AL… CALENDARIO – Insomma si è aperta ufficialmente la corsa ai calendari. Tutti, dall’UCI alla FCI, sino al più piccolo dei Comitati Provinciali, hanno iniziato a stilare calendari su calendari.
Si stabiliscono date, ci si contendono i fine settimana da agosto a novembre come fossero merce rara riservata a pochi fortunati e si accettano compromessi su concomitanze e sovrapposizioni.
Dal Giro d’Italia al circuito del campanile sembrano tutti ammalati di “calendarite”: c’è bisogno di programmare, di stabilire date, di pensare come se tutto fosse già tornato alla normalità.
E invece, di normale, in queste settimane, c’è ben poco: i Campionati del Mondo sono ancora in bilico, il Tour de France al momento è tutto da decifrare e in Italia ogni Regione sembra pedalare in una direzione diversa.
CALENDARI IPOTETICI O REGOLE CERTE? – La speranza di tutti noi, sportivi, appassionati e addetti ai lavori, è di tornare al più presto a parlare di gare, campioni e imprese ma forse, prima di pensare ai calendari sarebbe necessario chiarire quali saranno le condizioni necessarie per tornare a correre in sicurezza: serviranno termoscanner ai ritrovi di partenza, come verrà controllata l’affluenza del pubblico, in che modo verrà rispettato il distanziamento sociale.
Più che un calendario, insomma, per programmare la ripartenza servirebbero delle certezze sui requisiti necessari per tornare ad organizzare e per tornare a gareggiare. Senza queste indicazioni di tutte le date stabilite sino ad oggi resterà ben poco: giusto un calendario ricco di sogni da appendere di fianco a quello di qualche modella ritoccata e irraggiungibile.