Archiviata la quarantena la parola d’ordine per il ciclismo italiano è “tornare alla normalità”. Si riprendono gli allenamenti, si mettono in calendario gare, si attendono ancora le indicazioni su come bisognerà effettivamente organizzare le manifestazioni sportive ma ciò che serve è un ritorno alla normalità.
Ma quale normalità stiamo inseguendo? Quella che a fine 2019 ci ha portato a salutare tragicamente un ragazzo caduto in gara e a soccorrerne altri per cui la vita oggi è attaccata ad un respiratore o su una sedia a rotelle?
Nulla è stato fatto nel corso dell’inverno per migliorare la sicurezza degli atleti in gara ed in allenamento. Ancora meno si è fatto in questi mesi di stop forzato. E oggi che siamo alla vigilia della ripresa la FCI ha pensato di rinviare anche l’entrata in vigore del nuovo disciplinare delle scorte tecniche.
Giusto o sbagliato che fosse, rappresentava l’unico timido tentativo di richiamare gli organizzatori alle proprie responsabilità. Ma nel nome dell’emergenza e del ritorno alla normalità è stato il primo regolamento ad essere disapplicato dalla FCI. Non si è parlato di riduzione dei premi o di una razionalizzazione dei vincoli di società ma si è cancellata con un colpo di spugna l’unica novità adottata in tema di sicurezza. Rinviata al 2021 e poi chissà…
In un momento in cui l’emergenza Covid-19 richiederà una attenzione in più per salvaguardare la salute di atleti e pubblico, il ciclismo fa un altro passo indietro.
Come se la sicurezza dovesse essere valutata solo come un costo e non come una garanzia per la vita dei nostri ragazzi. Aldilà di ciò che sarebbe cambiato o meno con il nuovo disciplinare sulle scorte tecniche, è il messaggio che arriva dalla FCI a non quadrare: ripartite, rimettete in moto il circo, fate cassa e prendete applausi. Tutto il resto, compresa la sicurezza degli atleti più giovani, conta poco o nulla. Si può rinviare tranquillamente al 2021.