Il mondiale dei record. E’ quello di Imola. In venti giorni è stata messa in piedi una organizzazione per la quale solitamente servono almeno due anni. E in sole due ore sono stati venduti tutti i biglietti disponibili, soltanto duemila (ovvero tante persone quanto concedono ora i dpcm per gli eventi pubblici sportivi) venduti a 100 euro per due eventi, quello di sabato per le donne e quello di domenica per la gara dei professionisti.
Volere è potere dicono. E allora cominciamo a porci qualche domanda, in particolare nei confronti dell’Uci, quella macchina farraginosa che comanda e decide vita morte e miracoli sul ciclismo mondiale e che sta arroccata in Svizzera, in quel lembo di territorio distante dal resto del mondo. Come fosse una gabbia dorata (in effetti lo è perché la Svizzera da sempre è il luogo dove tutto si tutela e tutto si nasconde e tutto si blinda). Dalla turris eburnea gli uomini targati Uci decidono su tutto. Escono dai confini dorati della loro ricca Svizzera e invadono letteralmente il territorio dove i poveri mortali scelgono di mettere a disposizione cospicue sostante economiche a loro favore.
Causa Covid hanno scelto all’ultimo, giocoforza, di concedere l’organizzazione di un mondiale preso per i capelli a Imola e alla struttura organizzata di Marco Selleri. Solo un migliaio di persone conta la discesa da Oltralpe verso il ricco territorio collinare alle porte della felsinea Bologna. Tutti targati Uci, per decidere e soprattutto comandare, come se gli italiani, che alla fine hanno inventato il ciclismo, non ne fossero in grado. Ma noi abbiamo messo a disposizione fantasia, creatività e capacità. E anche soldi che la regione Emilia Romagna ha scucito.
Il mondiale si corre in Italia. Alla faccia della prevista organizzazione nella stessa Svizzera, a Martigny. E ci saranno pure duemila spettatori. Quindi, se mondiale sarà, messo in piedi in tre settimane, forse anche l’Uci dovrebbe rivedere le proprie pretese. Perché alla fine forse tutta l’invasione svizzera si potrebbe ridurre drasticamente e di molto. E ancora, altra considerazione. Scorriamo la brochure dell’evento e leggiamo i nomi. Nella sfera Uci gravitano solo nomi di svizzeri, belgi, francesi, spagnoli, olandesi etc etc. Italiani? Quattro. Di Rocco, Della Casa, Petrozzi e Vegni. E chiusa li.
Perché nella grande galassia ciclismo abbiamo solo quattro italiani? Come si fa ad entrare nel mondo Uci, quali campanelli bisogna suonare, quali sono i canali di entrata, chi comanda, quali sono i poteri che contano davvero, come viene gestita quella mole impressionante di denaro che da ogni Paese dove si pratica ciclismo finisce in Svizzera e da li poi non si comprende come venga utilizzata?
Assunzioni a destra e a manca, viaggi, commissioni e tanto altro. Qualche settimana fa è iniziata a girare la voce che l’Uci stia tagliando e licenziando numerose posizioni. Le casse sarebbero molto scarse se non addirittura quasi vuote, e anche con la botta creata dal Covid, il futuro sembra preoccupare la farraginosa struttura del palazzo del governo mondiale del mondo delle due ruote.
Un mondiale organizzato in venti giorni forse servirà a far abbassare la cresta anche alle pretese della Uci, perché tutto il mondo del ciclismo ha bisogno di ripartire nuovamente con umiltà e soprattutto con gestioni meno pesanti e costrizioni di partecipazioni a gare in zone del mondo dove il ciclismo fatica a decollare.