Non scrivo mai in prima persona perchè ritengo che il giornalista debba essere un narratore trasparente lasciando ai lettori le emozioni, i pensieri e le riflessioni. Ma le regole, anche le più ferree, sono fatte per subire delle eccezioni. E questo è uno di quei casi.
Ora che anche la carta stampata e le TV nazionali se ne occupano, posso dire che sono stato uno dei primi giornalisti ad interessarsi alla morte di Giovanni Iannelli. Una morte che ho vissuto e narrato, purtroppo, in diretta nonostante mi trovassi a centinaia di chilometri di distanza da Molino dei Torti quel giorno.
La tragedia di Giovanni mi ha riportato subito alla mente quella di Thomas Casarotto, un altro giovane di cui mi ero trovato a descrivere gli ultimi momenti di vita qualche anno fa. Vicende strazianti come ne sono successe troppe nel ciclismo, che lasciano un segno indelebile e di cui nel mondo delle due ruote, a distanza di qualche giorno, si cerca di non parlarne più. E’ un modo come un altro che questo sport ha insegnato, tramandandolo da una generazione ad un altra, per difendersi, per non pensare ai rischi che tutti i giorni corrono i ragazzi che vanno in bicicletta. Che sia in allenamento o in bicicletta.
Ma questa volta, dopo Molino dei Torti, ci sono state alcune persone che hanno avuto il merito di aver tenuto acceso un riflettore sulla morte di Giovanni. Lo hanno fatto Francesco, Fabiana, Ilenia e gli altri amici di Giovanni con una pagina Facebook e lo ha fatto, ogni giorno, Carlo, il papà di Giovanni.
Proprio quella luce mi ha portato ad avvicinarmi al caso. A scorrere le carte, a contattare i protagonisti della vicenda, ad andare personalmente a Molino dei Torti e a raccogliere elementi e documenti sui fatti di quel tragico 5 ottobre 2019. Giorno dopo giorno, quella cartellina sul mio destkop con il nome di Giovanni, si è riempita di centinaia di file diventando più pesante di un macigno.
Prima di parlare con Carlo, ho raccolto informazioni, ho parlato con alcuni conoscenti comuni ma mai mi sarei aspettato di trovare ciò che ho imparato a conoscere in questi mesi. Ad esempio, ho scoperto che, mio malgrado, sono state le mie parole ad informare la mamma e il papà di Giovanni della caduta del figlio. Ed è inutile dirvi quanto avrei desiderato di non dare quella tragica notizia che ha cambiato la vita di tante persone.
Contrariamente a ciò che dicono coloro che vorrebbero liquidare questa vicenda come tutte le altre che hanno lasciato una vittima sull’asfalto, ho trovato un “babbo” (come ama definirsi lui) addolorato ma lucido. Determinato a tenere viva la memoria del figlio e a far si che le cose cambino ma che, allo stesso tempo, vuole fermamente restare lontano dai riflettori. Tanto da rifiutare, nell’inverno scorso, una intervista televisiva nonostante le mie richieste.
Carlo è una persona di grande dignità che avrebbe meritato ben altro trattamento dal “mondo del ciclismo”. Ci sarebbe dovuta essere solidarietà, amicizia e sostegno nei confronti della famiglia. Ci sarebbe voluto più rispetto per i sentimenti di un papà che è anche un dirigente sportivo di lungo corso. E, invece, in questa vicenda posso dire di aver toccato con mano il muro di omertà e indifferenza che spesso, nella tradizione tutta italiana, accompagna fatti di questo genere che per molti rappresentano ancora un tabù di cui è meglio non parlare.
In realtà nel caso di Giovanni non ci sono molte discussioni da fare: o si è dalla parte del corridore o si è contro di lui. Non ci sono mezze misure. Girarsi dall’altra parte, lavarsene le mani, pensare che non ci riguarda significa essere contro Giovanni. E, attenzione, stare dalla parte di Giovanni non significa per forza “condannare anzitempo gli organizzatori” e nemmeno “cercare un colpevole a tutti i costi”. Di quello, se ne occuperanno gli organi di giustizia.
Significa semplicemente contribuire a fare chiarezza sull’accaduto, senza omissioni e censure. Significa fare qualcosa di concreto ed efficace perchè, almeno questo tipo di incidenti, non si ripetano mai più.
E chi è contrario a tutto questo o ha qualcosa da nascondere o, in qualche modo e a vario titolo, si sente complice delle cause che hanno portato alla morte di Giovani.
Io ho già deciso da che parte stare. Io sto con Carlo senza se e senza ma. Sto con chi vuole che ogni minimo dubbio sull’incidente venga chiarito e con chi vuole evitare che si ripetano situazioni simili. Non tanto perchè chi ha organizzato il Circuito Molinese non ha fatto ciò che avrebbe potuto e dovuto ma perchè non ci sia più nessun altro organizzatore che allestisca un traguardo con leggerezza, imperizia o superficialità. E non ci sia più nessuna delle figure che dovrebbero vigilare sul rispetto delle norme sulla sicurezza che chiuda un occhio e faccia finta di non vedere il pericolo.
E’ arrivato il momento di chiederlo anche a voi, amici lettori: da che parte state?
Per chi ancora non conoscesse i dettagli della vicenda, ecco il racconto video del Caso Giovanni Iannelli: