Oggi, dopo 17 anni di onorata carriera, potrebbe essere il suo ultimo giorno da professionista. Eppure Domenico Pozzovivo, laureato in Economia e prossimo laureando in Scienze Motorie, sembra non scomporsi più di tanto: “Sto bene fisicamente dopo un paio di anni nei quali ho dovuto trascorrere degli inverni tribolati a causa degli infortuni, quest’anno la salute c’è e sto continuando ad allenarmi per essere pronto a correre ad inizio febbraio. Ho separato l’aspetto atletico da quello lavorativo e spero che questa situazione si risolva presto”.
Che cosa avresti voluto chiedere al 2022?
“Avendo un contratto con la Qhubeka ero sereno, la vedevo come una stagione di riscatto dopo la sfortuna degli ultimi anni. Sapevo che avrei potuto allenarmi bene ed ero fiducioso”.
E, invece, cos’è successo?
“Sapevamo delle difficoltà del team ma eravamo tutti fiduciosi perchè avevamo vissuto la stessa situazione a fine 2020 quando la NTT aveva annunciato solo a settembre che avrebbe lasciato il ciclismo. C’era la convinzione che la dirigenza del team ce l’avrebbe fatta anche stavolta e, invece, il nostro ottimismo è stato freddato dall’UCI. Nessuno pensava che la commissione licenze chiudesse la porta così improvvisamente”.
Ci sono possibilità di vederti di nuovo in gruppo?
“Al momento non si è aperta nessuna porta. Io non ho grandi pretese, vorrei poter correre e affrontare ancora un’altra volta il Giro d’Italia…”
A proposito della corsa rosa, che cosa ne pensi del Giro 2022?
“Conosco a grandi linee tutte le tappe principali. E’ un giro favorevole agli scalatori visto che ci sono poche cronometro e devo dire che mi piace molto, anche per questo ci terrei ad esserci. La terza settimana è in linea con le edizioni degli ultimi anni e mi piace l’inserimento dell’Etna già ad inizio corsa, sono i finali di tappa che preferisco”.

In questi anni hai dovuto sopportare infortuni, incidenti e hai superato tante difficoltà. Non ti chiedi mai “chi me l’ha fatto fare”?
“In realtà sono soddisfatto della mia carriera. A volte anche io tendo a dimenticare gli eventi negativi che mi hanno condizionato sin dai primi anni da prof: al secondo anno dovetti saltare il Giro perchè mi ero rotto l’omero. Una frattura che avrebbe potuto essere una sliding door molto negativa, tanto da portarmi subito a chiudere con il ciclismo. Invece mi sono ripreso e ho proseguito riuscendo ad essere molto costante negli anni. Di questo ne sono orgoglioso”.
In 17 stagioni hai visto passare in gruppo più di una generazione di corridori. Cos’è che ha cambiato così tanto il ciclismo moderno?
“Quando sono passato professionista io era impossibile essere subito competitivi per la vittoria al Giro o al Tour perchè le conoscenze erano monopolio di pochi atleti di vertice che ne beneficiavano. Oggi, invece, sin dalle categorie giovanili c’è la possibilità di usare il potenziometro e si hanno a disposizione diverse importanti figure professionali. Questo fa si che i giovani arrivino al professionismo già molto pronti e li agevola nell’affrontare da subito grandi obiettivi. Magari le carriere di questi giovani atleti sarà più brevi ma non è per forza un male: diciamo che sotto questo aspetto il ciclismo si sta avvicinando al nuoto, dove ci sono atleti molto precoci che però smettono a trent’anni”.

Tu hai iniziato la tua carriera tra i professionisti con la famiglia Reverberi, cosa ne pensi del nuovo progetto giovani della Bardiani?
“Magari non è la soluzione perfetta ma può essere un buon compromesso. In Italia tendiamo sempre a seguire con un pò più di lentezza le novità che invece all’estero si affermano prima”.
Sei stato tra i primi a vaccinarti. Come valuti l’aggravamento della situazione sanitaria mondiale? Quali le prospettive per il 2022?
“Questo innalzamento dei contagi non favorisce noi atleti. E’ vero che siamo protetti perchè ormai quasi tutti sono vaccinati in gruppo però anche una semplice positività al Covid non ci consente di gareggiare. Il problema è che, varianti come la Omicron che si diffondono più facilmente, rischiano di far saltare i protocolli. Per questo, anche per noi, è importante che la copertura vaccinale si estenda il più possibile. Di certo, dopo l’estate 2021 si era pensato di poter allentare la normativa delle bolle ma credo che con questa situazione le regole di prevenzione dovranno diventare ancora più stringenti. Bisognerà stare ancora molto attenti anche nel 2022”.
Parli ancora da atleta e questo è un segno di speranza importante, ma se per il 2022 non si dovesse aprire alcuna porta hai già pensato ad un piano B?
“Certo che ci ho pensato, non posso farmi trovare impreparato. Mi sto laureando in scienze motorie, anticiperò i tempi dello studio per poter iniziare quanto prima l’attività da preparatore atletico”.
In questi anni non è cambiato solo il professionismo ma anche il ciclismo di base. In Italia il movimento è in forte sofferenza, soprattutto al Sud. Si può fare qualcosa?
“Nelle passate stagioni essendo impegnato in giro per il mondo avevo perso un pò il collegamento con le società del mio territorio. Negli ultimi mesi ho passato un pò di tempo a casa e ho avuto modo di confrontarmi con alcune squadre giovanili. Sapere che perfino gli esordienti devono affrontare delle lunghe trasferte per poter correre perchè non tutte le settimane ci sono gare al sud mi ha sconcertato e preoccupato. Io ho iniziato a correre da allievo e, per le prime due-tre stagioni, ho avuto la possibilità di mettermi alla prova nelle gare locali. Questo mi ha consentito di prendere coscienza delle mie possibilità. Se non avessi avuto questa opportunità probabilmente avrei rinunciato a correre in bicicletta. Credo sia importante che, almeno per le categorie giovanili, un ragazzo del sud non sia costretto a sobbarcarsi trasferte così lunghe, altrimenti non avranno futuro. Servirebbe dare più ossigeno a società e manifestazioni giovanili per tornare ad avere un vivaio che funzioni”.