La Riforma dello Sport si conferma la classica riforma “all’italiana”. I principi che guidano ormai da qualche anno l’iter della riforma nascono dal periodo della pandemia da Covid-19 e dagli ormai famosi sostegni erogati dallo stato in favore dei “lavoratori dello sport”. Un popolo di volontari che, in funzione del loro impegno, godono dei rimborsi delle ASD, compensi completamente detassati sui quali lo Stato ha deciso di mettere le mani.
Un principio giusto se si pensa ai tanti lavoratori che sono impegnati in piscine, palestre e altre attività commerciali dedicate allo sport gestite, impropriamente, con lo strumento delle ASD. Ma c’è anche il rovescio della medaglia.
I famosi rimborsi, infatti, sono uno strumento equo e corretto per consegnare un compenso adeguato ai tanti appassionati che mettono a disposizione il proprio tempo libero per la promozione dello sport giovanile; dallo studente universitario che si impegna in favore degli ex compagni di squadra al pensionato che aiuta la società del paese, si tratta di una attività che non ha nulla a che vedere con il mondo del lavoro e che non può essere considerata tale, tanto più che la maggior parte delle ASD che operano nello sport dilettantistico sono gestite in maniera bonaria e hanno dei budget piuttosto ridotti. Parliamoci chiaro: imporre le formalità del mondo del lavoro a questo tipo di società sportive significherebbe far chiudere più del 50% di queste associazioni che non hanno nè la professionalità nè gli strumenti per gestire contratti di lavoro, incombenze con Inail, Inps e quant’altro.
LA RIFORMA – La riforma, disegnata dall’allora Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, prevede l’equiparazione tra tutte le associazioni sportive. Dalla Juventus all’ultima delle ASD di paese, tutte le associazioni sportive si troverebbero ad applicare la stessa disciplina in tema di gestione del personale.
Una vera e propria aberrazione, evidente a chiunque opera nel mondo dello sport, che però ha riscosso successo all’interno dei palazzi governativi anche perchè farebbe schizzare all’insù i dati sull’occupazione e i contributi riconosciuti allo Stato.
Anche per questo motivo la riforma voluta dal Movimento Cinque Stelle è rimasta d’attualità sull’agenda del Governo, nonostante il deciso cambio di colore dopo le recenti elezioni. Il nuovo Ministro dello Sport, Andrea Abodi, infatti, ha dichiarato pubblicamente l’intenzione di portare a compimento la riforma dello sport. Con il passare delle settimane, però, i problemi relativi alla possibile applicazione della nuova legge sono venuti al pettine e, per questo motivo, come molti addetti ai lavori avevano preventivato, la questione è stata risolta “all’italiana”.
Nonostante la Riforma dello Sport sia già stata approvata dal Parlamento, infatti, a mancare sono ancora alcuni decreti attuativi, senza i quali la Riforma non è applicabile. Per questo motivo la Riforma dello Sport è stata inserita nel cosiddetto Decreto Milleproroghe, il decreto con cui il Governo a fine anno (nel nostro caso lo scorso 29 dicembre 2022) rinvia l’applicazione di una serie (infinita) di leggi.
E dunque l’entrata in vigore della temutissima Riforma dello Sport è slittata dall’annunciato 1° gennaio 2023 al 1° luglio 2023; un rinvio di sei mesi che potrebbe essere reiterato se nei prossimi mesi non si farà chiarezza su quanto il Governo vuole fare e quanto la realtà sportiva italiana riuscirà a sopportare.
L’IMPATTO DELLA RIFORMA NEL CICLISMO – La riforma dello Sport presenta due importanti ambiti di intervento: da una parte l’abolizione dei vincoli sportivi, dall’altra la riforma normativa e fiscale dei rapporti di collaborazione. Per quanto riguarda i vincoli sportivi siamo di fronte alla solita “legge quadro” dello Stato (come ad esempio quella sul limite dei due mandati per i dirigenti federali) che ogni federazione sarà libera, nell’ambito dell’applicazione e dell’interpretazione, di derogare in maniera più o meno legittima reiterando le normative già in essere.
Per quanto riguarda, invece, l’ambito normativo e fiscale dei rapporti di collaborazione l’impatto sul mondo del ciclismo giovanile sarebbe devastante soprattutto dal punto di vista burocratico. Innanzitutto perchè la riforma prevede che ogni atleta o collaboratore della ASD che voglia ricevere un compenso dalla stessa società sportiva debba forzatamente essere contrattualizzato con un contratto di lavoro Co.Co.Co. Questo comporterebbe una serie di comunicazioni obbligatorie da trasmettere per quanto riguarda soprattutto il trattamento fiscale e previdenziale.
Non vanno trascurate le problematiche giuridiche che una simile applicazione del contratto di lavoro potrebbe comportare in termini di sicurezza dei luoghi di lavoro (gare, allenamenti… quali gli standard?), orari di lavoro (come calcolare l’impegno di un atleta?), copertura assicurativa e le altre caratteristiche della forma contrattuale prescelta. E’ vero che la riforma esclude questi aspetti tipici del mondo lavorativo ma è molto probabile che questi aspetti potrebbero trovare applicazione in sede di giudizio in caso di un eventuale contenzioso.
Vi è poi un aspetto economico per cui, quanti ricevono più di 5.000 euro all’anno da una ASD dovrebbero versare il 5% per la copertura previdenziale e, quindi, di fatto anche i compensi sportivi verrebbero tassati.
Per il momento tutto è bloccato, se ne riparlerà in estate, nella speranza che nel frattempo anche il Palazzo si accorga della eterogeneità del mondo dello sport italiano e della conseguente necessità di adeguare la vecchia e la nuova normativa.
Sino al 30 giugno 2023, quindi, le associazioni e le società sportive dilettantistiche potranno continuare ad applicare la normativa finora seguita, ivi compresa la disciplina dei compensi e rimborsi sportivi fiscalmente neutrali entro il limite annuo di euro 10.000. Tuttavia, nell’ottica delle nuove e future disposizione sarà opportuno per le associazioni e società sportive dilettantistiche organizzarsi per tempo al fine di adeguarsi alle novità che subentreranno il prossimo 1° luglio, soprattutto in materia di lavoro sportivo, dei premi e degli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro.
COSA FANNO LA FCI E IL CONI? – Ciò che più lascia esterrefatti di fronte ad una riforma così impattante per il mondo del ciclismo giovanile è l’assoluto immobilismo di FCI e Coni. Nessuno dei dirigenti federali e del Coni ha chiesto pubblicamente delle revisioni della riforma dello sport. Nessuno di questi ha alzato la voce nel rappresentare le istanze delle società sportive di base il cui futuro è minacciato da questa riforma “spezza-gambe”.
Alcuni Comitati Regionali hanno organizzato degli incontri con i dirigenti di società per informarli delle modifiche ma nessuno dei rappresentanti dello sport italiani hanno chiesto di discuterne con il legislatore. Quasi si trattasse di una verità assoluta che non può essere in alcun modo discussa o modificata. La famosa attività di lobby, insomma, sino ad oggi non ha dato alcun segnale di vita, come se la riforma si occupasse di altro rispetto al tessuto sportivo italiano.
I numeri in termini di tesserati e praticanti dello sport italiano e del ciclismo in particolare, impongono una riflessione profonda sulla riforma che per il momento è stata bloccata per problemi burocratici. Si tratta di elettori che dal prossimo 1° luglio potrebbero trovarsi senza più una società con cui collaborare per la promozione del proprio sport preferito…