Che l’Italia sia un Paese ancora fermo al Medioevo è, purtroppo, risaputo, così come è risaputo che il mondo del ciclismo azzurro sia fatto di campanilismi, orpelli e arretratezze che, non a caso, hanno fatto si che anche Paesi sino a qualche tempo fa privi di una tradizione ciclistica ci superassero. Ma la storia che vogliamo raccontarvi oggi va oltre a questo.
L’Italia ciclistica, già alle prese con mille difficoltà di tipo economico, fiscale e burocratico, preda della agguerrita concorrenza straniera, soprattutto per quanto riguarda le categorie juniores e Under 23, per non parlare dei professionisti, infatti, nel 2023 sarà ulteriormente rallentata da una guerra di cortile che vede contrapposti i vari Comitati Regionali.
IL POMO DELLA DISCORDIA – Tutto nasce dalla sciagurata decisione del Consiglio Federale di abolire le affiliazioni plurime anche per gli juniores e di togliere il vincolo regionale. Le modifiche alle normative sui trasferimenti, però, invece di risolvere quella decina di “casi” che si registravano ogni anno, hanno aperto un vero e proprio vaso di pandora.
Oggi, dunque, un atleta Juniores o Under 23 può scegliere di tesserarsi per qualsiasi squadra in Italia senza dover chiedere il permesso al Presidente Regionale; come correttivi, sono stati inseriti dal Consiglio Federale il pagamento del 100% del premio di valorizzazione e il vincolo a partecipare ai Campionati Nazionali (e alle gare che si disputano per rappresentativa) secondo la regione di residenza, indipendentemente dalla società per cui si è tesserati.
TUTTI D’ACCORDO, MANCO PER SOGNO – A leggere i comunicati della propaganda federale emessi a fine estate, le norme sarebbero state accolte con grande entusiasmo e soddisfazione non solo dai componenti del Consiglio Federale (in maggioranza lombardo) ma anche da tutti i Presidenti Regionali.
Come, però, aveva anticipato Ciclismoweb.net, non è proprio così. Infatti, dopo gli atleti e le società costretti a pagare importi davvero impegnativi, si è infoltita anche la fronda dei Presidenti Regionali che, in questi mesi, con i numeri alla mano, hanno iniziato a non digerire la nuova normativa.
Come era ampiamente prevedibile, infatti, le società di maggior richiamo a livello nazionale hanno potuto muoversi liberamente su tutto il territorio nazionale attraendo verso Lombardia e Veneto i migliori talenti del ciclismo italiano. Una situazione che rispecchia quanto già si poteva cogliere dietro al paravento delle affiliazioni plurime ma con la differenza che i patronati regionali si vedono spogliati anche dell’ufficialità dell’appartenenza al proprio comitato dei migliori talenti.
Giusto per non andare troppo lontano, Filippo Ganna tra gli juniores era già tesserato per una società con sede in Lombardia ma, grazie alle affiliazioni plurime, figurava inserito in una compagine piemontese. Oggi, lo stesso corridore, invece, si trasferisce direttamente in Lombardia facendo calare i numeri e il prestigio del movimento piemontese.
PIEMONTE E FRIULI DISAPPLICANO LE REGOLE – La protesta dei Comitati Regionali, rimasta inascoltata in sede federale, è scattata nelle ultime settimane a suon di carte bollate. Piemonte e Friuli Venezia Giulia hanno, infatti, adottato due provvedimenti fotocopia nei quali si recita testualmente: “si delibera, a tutela del vivaio degli atleti e delle loro società, che i responsabili (…) delle rappresentative regionali di tutte le specialità possano e debbano convocare in rappresentativa regionale solamente atleti e atlete piemontesi/friulani tesserati per società piemontesi/friulane”.
Di fatto, quindi, ad Est e a Ovest della penisola verranno disapplicate le normative tecniche nazionali con una conseguente limitazione dell’attività (soprattutto quella di alto livello come i Campionati Italiani e il Giro della Lunigiana) degli atleti direttamente interessati. Un passo deciso che segna uno scontro evidente e frontale tra Massimo Rosso e Stefano Bandolin da una parte e la dirigenza federale nazionale dall’altra.
“Più che di scontro parlerei di esigenza di difendere il nostro movimento territoriale” precisa Stefano Bandolin. “Ci sono idee diverse. Il nostro comitato riceve quotidianamente delle sollecitazioni e delle richieste in questo senso. Sono richieste che probabilmente non sono arrivate o sono rimaste inascoltate a livello centrale ma che noi presidenti regionali non possiamo ignorare”.
ROSCINI, CASSARA’ E ROSATI – Quella posta in essere da Piemonte e Friuli (ma che potrebbe essere riproposta presto anche in altre regioni) è una vera e propria violazione delle norme federali vigenti. Lo sa bene Carlo Roscini, ex presidente del Comitato Umbria, inibito per tre mesi proprio per “aver abusato dei poteri a lui riconosciuti disponendo arbitrariamente l’esclusione degli atleti Cassarà e Rosati dalla rappresentativa regionale che doveva disputare il Giro della Lunigiana”.
Si tratta di una decisione del Tribunale Federale del 2017 che portò alla fine della presidenza Roscini, chiusa con il commissariamento del Comitato umbro. All’epoca alla guida della FCI c’era Renato Di Rocco e l’esclusione degli atleti fu singola e non dichiarata.
Oggi, invece, Piemonte e Friuli hanno posto in essere un atto di disobbedienza nei confronti della FCI-azienda; nel concreto, la situazione è molto simile, ma a cosa porterà tutto questo? Cosa succederebbe se ogni Comitato Regionale decidesse di applicare o disapplicare le normative nazionali a proprio piacimento?
L’impressione è che la vicenda non sia affatto finita qui…