Nonostante questo nella comunicazione del Cav. Leoni si legge testualmente:
(…)
La concessione del Patrocinio FCI è riservata alla competenza esclusiva del Presidente, è il massimo riconoscimento morale con cui l’Ente esprime la simbolica adesione ad un’iniziativa o manifestazione di importanza nazionale/regionale/provinciale che non abbia scopo di lucro.
(…)
Tutti i materiali che verranno predisposti utilizzando il nuovo logo federale dovranno essere inviati a questo settore (Settore Eventi Federali, ndr), in modo da poterne verificare il corretto utilizzo prima della stampa o eventuale pubblicazione online.
TESSERATI SENZA LOGO – Insomma, se ancora non vi fosse chiaro, il logo è proprietà esclusiva della FCI. Anzi, del Presidente Cordiano Dagnoni che deciderà se concederlo, a chi e in quali occasioni.
Una novità per tutte le società che svolgono la propria attività in qualità di “affiliate” alla FCI e nel rispetto delle regole della stessa Federazione. Tutti i dirigenti che erano abituati a riportare, con orgoglio e spirito di appartenenza, il logo della Federazione nelle proprie locandine, nei volantini, sui siti e persino sulle coppe, sulle targhe, sulle maglie consegnate sui podi di tutta Italia, dovranno quindi stare in guardia.
Da oggi, anzi, da ieri, questo logo non si può più utilizzare senza l’approvazione, il consenso e la concessione del patrocinio del Presidente Dagnoni (o, eventualmente, per le manifestazioni minori dei Presidenti Regionali e Provinciali).
Non è sufficiente essere degli affiliati o dei tesserati della FCI (pagando le quote dovute) per potersi fregiare del logo della Federazione a cui si appartiene. Non è sufficiente nemmeno ottenere l’approvazione della gara per poter usare il logo della FCI. Servirà una ulteriore richiesta di “concessione del patrocinio” che potrebbe, peraltro, venire rifiutata a seconda delle valutazioni del Presidente.
Una scelta quanto mai bizzarra e, ancora una volta, contraria alle disposizioni del CONI. E’ lo stesso CONI, infatti, a chiarire che le “ASD e SSD possono utilizzare esclusivamente il logo della Federazione di appartenenza e, quindi, se in esso è presente il logo CONI suddetto (stilizzato, a righe) esso può essere inserito nella propria corrispondenza o nei propri stampati”.
SPIRITO DI APPARTENENZA – Attenzione. Non si tratta di una questione di poco conto e, nemmeno, della “solita polemica” contro il Presidente. La Federazione Ciclistica Italiana si definisce tale proprio perchè nasce come l’unione di tutte le società e i tesserati che praticano questa disciplina. Per questo motivo, per sostenere l’attività federale, vengono versate le quote di affiliazione e pagate le tessere: insomma, la FCI è, prima di tutto, dei tesserati e delle società che la compongono. Il Presidente ed il Consiglio Federale vengono eletti come rappresentanti di questa base non come despoti che possono fare il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento.
In nessun caso il Presidente può decidere di fare “uso proprio” delle risorse della Federazione o dello stemma federale. Tantomeno decidere che un tesserato possa utilizzare il logo della FCI mentre un altro no. Ancora meno, a dettare queste linee guida, può essere un semplice dipendente della FCI anche se questo sia il Segretario del Presidente, figura nemmeno prevista dallo Statuto Federale, o appartenga al “Settore Eventi Federali” di nuova invenzione presidenziale.
Lo spirito di appartenenza alla FCI, passa anche attraverso il riconoscimento delle società come appartenenti alla Federazione tramite il richiamo ad un simbolo, un logo; imporre a chi svolge l’attività ed è in regola con i doveri federali, una ulteriore richiesta per la concessione di un patrocinio significa sminuire ulteriormente il lavoro di società e tesserati.
Questa nuova invenzione del Presidente Dagnoni allontana di un altro gradino la base dal vertice della FCI ed equivale ad una presa di distanze: la FCI, in questo modo, arrogandosi il diritto di concedere o meno il patrocinio, è come se disconoscesse tutte le attività svolte dai propri tesserati e dalle proprie società, quasi non le appartenessero.