La positività di Jannik Sinner al Clostebol ha fatto stracciare le vesti a quanti non vedevano l’ora di fare le pulci al nuovo personaggio dello sport italiano: eppure ha ragione lui e sbagliamo noi (quelli del ciclismo, quelli della caccia alle streghe e del “dagli al dopato”).
HA RAGIONE JANNIK – Analizzando la vicenda, è evidente la differenza di trattamento tra il mondo del tennis e il mondo del ciclismo ma, ancora una volta, hanno ragione loro, quelli della pallina gialla, dei calzoncini bianchi e delle racchette super leggere.
La diversità non sta tanto nel fatto che Sinner non ha avuto squalifiche mentre un corridore qualsiasi al suo pari si vedrebbe allontanato da tutti e da tutto come un appestato. Il vero scatto in avanti che ha dimostrato il mondo del tennis in questa circostanza è la maturità con cui il problema è stato affrontato.
Innanzitutto per la riservatezza con cui tutta la vicenda è stata trattata e per la scelta di ufficializzare il tutto a procedimento esaurito: nessuna pubblicazione su nessun giornale, nessuna voce di corridoio e nessuna ipotesi pubblica. Sinner ha potuto difendersi di fronte ad una agenzia antidoping terza e privata, ha portato le proprie giustificazioni ed è stata emessa una decisione.
Aldilà della fondateza delle difese di Sinner e della correttezza o meno della decisione, è il procedimento che ha fatto la differenza. Cosa sarebbe accaduto ad un ciclista?
Prima di tutto si sarebbe visto il nome sparato sul sito di NadoItalia, dove sembrano provare piacere a fare l’elenco di tutti i dopati. Da lì sarebbe partita una serie di articoli sugli stessi giornali e siti che fino al giorno prima lo osannavano per le sue imprese e, solo dopo mesi di diffamazioni, si sarebbe arrivati alla prima udienza del procedimento vero e proprio. A quel punto, la decisione del Tribunale, è quasi superflua perchè l’atleta e la sua reputazione sono già morte e sepolte: anche se fosse giudicato con la stessa bontà concessa a Sinner (cosa che difficilmente accade) farebbe comunque molta fatica a trovare un posto in squadra e a tornare in strada.
SBAGLIAMO NOI – E’ il sistema dell’antidoping, così come è concepito, ad essere sbagliato. Negli ultimi tre decenni ha dimostrato di avere falle grandi come una casa e di colpire solo quando i potenti di turno lo consentono. I sette Tour de France cancellati a Lance Armstrong gridano ancora vendetta: possibile che in sette anni nessuno avesse mai visto nulla? E che senso ha avuto punirlo a posteriori?
Sbagliamo noi, inteso noi del ciclismo, a continuare a martellarci gli zebedei nel nome di una “guerra santa” al doping che non solo non ha senso ma, soprattutto, non fa altro che far male all’intero movimento.
Attenzione, questo non significa che si dovrebbe lasciar passare tutto o autorizzare il doping: semplicemente si tratta di saper gestire in maniera matura e credibile anche un problema come il doping. Senza la necessità di far clamore o di spettacolizzare ogni singola vicenda.
Chi ha guidato la caccia alle streghe fino ad oggi ha distrutto carriere intere e ancora se la prende con Sinner che sarebbe stato “graziato”. Stefano Agostini ha avuto il coraggio di scrivere tutto il proprio disappunto, non per Sinner, ma per come gli è stato imposto di uscire dal ciclismo ma di vicende come la sua è, purtroppo, ormai piena l’enciclopedia del ciclismo.
E’ tempo di imparare qualcosa, è tempo di ammettere che il ciclismo in questi anni ha sbagliato e che, si, ha ragione lui, Jannik Sinner.