Riceviamo questa riflessione dell’Avv. Fiorenzo Alessi sulla nota vicenda della positività di Jannik Sinner, ve la proponiamo di seguito…
Caro Direttore,
a dirla tutta la “vicenda doping- Sinner” continua a farmi un po’ schifo.
Non volevo mettere nero su bianco delle riflessioni che definirei consuete ed insieme desuete, anche perchè rammento a me stesso che ….ogni caso è a sè stante, non conosciamo bene ed integralmente gli atti del procedimento, se è stato “assolto” vuol dire che è innocente, ……e bla bla bla.
Un chiacchericcio malevolo e sovente strumentale che si accompagna ad ogni situazione di evidente interesse pubblico. L’essere bene o male coinvolti in un affaire di Doping, soprattutto se si è un Atleta di livello e notorietà mondiali, è un classico di siffatto repertorio.
Però, non foss’altro per l’esperienza professionale ormai quarantennale , almeno due cosucce vanno dette.
Senza tanti riguardi o complimenti , ed auspicando che valgano a fare un po’ di chiarezza .
Soprattutto avendo a cuore le sorti di uno sport, il nostro caro CICLISMO, tanto vituperato allorquando si solleva appena il coperchio di quel ribollente pentolone chiamato “Questione Doping”. Poi, se qualcuno se n’abbia a male , senza scomodare l’evangelico “Non giudicare se non vuoi essere giudicato” , si vada beatamente a riascoltare la famosa “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli .
Prima di tutto , smettiamola con questa favola che LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI.
Per farla breve e trascurando ogni pertinente approfondimento, per rendere l’idea faccio mie le secolari parole di uno statista piemontese: ” le leggi si INTERPRETANO per gli AMICI e si APPLICANO ai NEMICI”. Se si vuole, è un simpatico modo per provare a spiegare quei meccanismi che si definiscono “sistema giustizia”. Qualificarlo come “tentacolare” reputo non sia fuor di luogo , bensì significativo ed emblematico.
Poi, tanto per tenere il riflettore ben puntato sull’amministrazione di quella specifica espressione di Giustizia cosiddetta Sportiva attinente fatti di Doping , che vede operare un coacervo di Enti ed Organi di derivazione sia Nazionale che Internazionale, va detto che permangono dei peccati originali.
L’onere di provare la responsabilità di un soggetto-atleta di cui sia stata in qualche modo riscontrata o la positività o la violazione delle riconnesse norme regolamentari antidoping rimane attribuita all’Atleta e non all’Organo accertatore ed investito di competenze e funzioni di giustizia.
Nè ha valenza alcuna il “ragionevole dubbio” nella determinazione finale che vada a stabilire la fondatezza, o meno, di un’accusa di doping. Alla faccia dei principi del cd. “giusto processo” vigenti in ambito di Amministrazione Ordinaria della Giustizia , soprattutto in sede penale, e peraltro dottrinalmente recepiti dall’ordinamento sportivo.
Non credo serva aggiungere altro, benchè molto e di interessante vi sarebbe ancora da evidenziare. Nè ritengo che qualcuno possa sentirsi offeso se , sempre con simpatia e sincera partecipazione, definisco sgangherata una giustizia che abbia criteri valutativi non uniformi, avvalorando così la torbida idea che possano esistere figli e figliastri.
Cordialità.
FIORENZO ALESSI