“I ciclisti? Mi piacciono solo quando vengono investiti”. Sono le terribili otto parole con cui Vittorio Feltri ha offeso non solo la memoria dei 197 ciclisti vittime di incidente stradale nel 2023 ma anche dei già oltre 70 morti nel 2024 e di tutti quei volti di uomini e donne che sono stati cancellati mentre stavano pedalando. Mentre i dati Istat fotografano una situazione che si sta aggravando in maniera preoccupante (nei primi mesi del 2024 è stato registrato un aumento del 50% delle vittime rispetto allo stesso periodo del 2023), il fondatore ed direttore di Libero getta benzina sul fuoco della battaglia che si combatte ogni giorno sulla strada.
LE PAROLE DI FELTRI – Una dichiarazione che oltre ad offendere la memoria di chi non c’è più, puzza da violenta istigazione agli autisti meno tolleranti a “fare pulizia” dei ciclisti sulla strada.
Parole semplicemente ripugnanti ed inaccettabili, anche se sparate da un giornalista ormai decadente, affetto da demenza senile e diventato sempre più la caricatura di se stesso. Parole, peraltro, ribadite nel corso della Zanzara, programma radiofonico in onda su Radio24 curato da Giuseppe Cruciani.
“Non amo i ciclisti? Non li voglio mica ammazzare. Ho fatto una battutaccia in un discorso umoristico, hanno montato un casino. Non chiedo scusa a nessuno perché non ho offeso nessuno. Le piste ciclabili sono una rovina. Io credo che” i ciclisti “rompano i coglioni. Abito a Milano e parlo di Milano” questa la ridicola difesa di Feltri sulle frequenze di Radio24.
LE REAZIONI – Di fronte al messaggio lanciato in questo modo, così brutale, da Vittorio Feltri il mondo del pedale si è (giustamente) indignato. Atleti, dirigenti, politici, campioni, ex-campioni, giornalisti ed opinionisti hanno risposto a loro modo a queste affermazioni. Tutti. Tranne uno.
Tutti tranne colui che avrebbe il compito di rappresentare i ciclisti italiani. Colui che continua ad assistere impotente alla morìa di propri tesserati e non solo. Esatto, stiamo parlando proprio di Lui, Cordiano Dagnoni, il Presidente della FCI. Che, ancora, non ha preso una posizione nei confronti di Feltri e delle sue esternazioni.
IL SILENZIO ASSORDANTE – Nonostante un ufficio di comunicazione nutrito e costoso, degno dell’establishment di una grande azienda multinazionale, il Presidente Cordiano Dagnoni ancora tace. Non una dichiarazione, non una presa di posizione, non un comunicato stampa: NIENTE!
Nemmeno un post sui social network, che nel frattempo si sono infiammati di commenti contro le parole di Vittorio Feltri: i dirigenti federali sembrano essere troppo impegnati nella vacanza elvetica a Zurigo per occuparsi di un importante opinionista italiano che attacca i ciclisti.
Sul profilo Instagram della FCI è di ieri il post dedicato al compleanno di Michele Scarponi, una delle vittime più illustri delle strade italiane. Ma nulla più. Ci ha provato anche Lello Ferrara a dare la sveglia alla FCI su questo tema, con una story di risposta a Feltri che, però, non è stata condivisa sui profili ufficiali della Federciclismo.
Nonostante attraverso le chat riservate i dirigenti territoriali della Federazione (leggi qui la presa di posizione del Comitato Veneto della FCI) stiano chiedendo a gran voce a Cordiano Dagnoni di prendere una posizione sulla questione e addirittura di provvedere a depositare una denuncia alla Procura della Repubblica, lui “da milanese” rimane fermo e zitto, incapace di difendere le persone e le società che lo hanno scelto per rappresentarli.
Un comportamento che, considerando il ruolo ricoperto da Cordiano Dagnoni, è ancora più grave delle parole del vecchio Vittorio Feltri. Un silenzio che equivale ad un applauso a quanto affermato dal suo concittadino giornalista. Un silenzio-assenso che grida vendetta e che ci fa capire, una volta di più, quanto sia debole questa dirigenza federale.
Caro Presidente,
Matteo Menti, Lorenzo Laner, Antony Orsani, Silvia Piccini, Davide Rebellin, Tommaso Cavorso, Michele Scarponi, Matteo Lorenzi e tante altre vittime della strada, avevano in tasca la tessera della FCI. Stavano pedalando quando un autista li ha strappati all’affetto dei propri cari. Credevano in questo movimento e con le loro forze contribuivano a migliorarlo esattamente come fanno altre migliaia di ragazzini che ogni giorno si allenano sulle nostre strade. In questi anni, di fronte a numeri sempre più preoccupanti, la FCI non ha fatto nulla per chiedere ed ottenere maggior sicurezza per i ciclisti sulla strada e già questo dovrebbe farla sentire un pò responsabile delle morti che continuano a susseguirsi.
Ma ora, se lei non ha la forza, il tempo, la volontà o la capacità di difendere loro e tutti gli altri tesserati nemmeno di fronte ad un attacco così becero e violento, faccia le valigie, torni a casa e si dimetta.
Glielo scrive un ex-tesserato, inibito, felice di non essere più rappresentato da lei.