Pochi giorni fa Omar Di Felice, ciclista amatoriale che si diletta, si fa per dire, nelle imprese ultracycling, sfidando con la sua bicicletta luoghi e temperature impossibili in ogni parte del globo terraqueo postava questo sul suo profilo Facebook: “Andate sulle ciclabili”. Il problema si riassume in una frase: non conoscete il codice della strada. Ecco cosa è successo oggi dopo un semplice “dialogo” con un automobilista “ignorante” sugli articoli del codice della strada. Perché il problema, oltre alla fretta, alla distrazione e alla mancanza di umanità, e’ che non si conosco le regole base della strada.Ed e’ preoccupante perché alcuni automobilisti sono veramente convinti che noi in bicicletta sulla strada non possiamo circolare. E’ assurdo tutto ciò…” e dopo lo scritto il video surreale con un automobilista che gli aveva tagliato la strada e insultato.
Dobbiamo fare i conti ogni giorno con una carneficina sulle strade. E nei giorni scorsi aveva sollevato lo stesso problema Vittoria Bussi, trentatreenne donna elite, quindi non professionista, pistard, primatista dell’ora su pista un anno e mezzo fa. Era stata premiata al Coni dal primo ministro Conte e aveva lanciato un appello alla sensibilizzazione attraverso spot per la sicurezza sulla strada. La carneficina la si trova ovunque sulle strade. Ragazzini investiti e uccisi dalle auto mentre vanno a scuola in bicicletta, la signora che sceglie le due ruote per le spese quotidiane, l’anziano che va a prendere il giornale e disattento attraversa la strada. E poi cicloamatori, tanti, un numero troppo esagerato. Per non parlare di chi si trova in gara e spunta la macchina che non rispetta ‘alt e investe l’atleta in gara.
Ne sa qualcosa Vincenzo Nibali che nelle ultime ore ha rilanciato con forza il tema sicurezza.
Spesso chi scrive di ciclismo viene accusato di poca sensibilità. Ma chi vi scrive ha avuto il padre morto in bicicletta, ucciso da un’auto mentre usciva dalla sede della Unione Ciclisti Trevigiani. Conoscere il codice della strada spesso non serve. Ha ragione Omar di Felice ad arrabbiarsi con l’automobilista che lo invita ad allenarsi sulla posta ciclabile. Come ci si può allenare su una pista ciclabile in Italia?
Partiamo dall’urbanistica. In primis in molte regioni le piste ciclabili sono una utopia. Ricordiamo poi che le nostre città al novanta per cento hanno origine da siti romani poi sviluppatisi in epoca medievale e successivamente rinascimentale e insistono su siti con carattere difensivo quindi chiusi in se stessi. Città storiche, con portici, strade strette, palazzi antichi, chiese e monumenti. L’unica grande pista ciclabile a Roma per assurdo sono i Fori Imperiali creati durante il ventennio per dare visibilità ai fori antichi. Le stradine che si trovano all’esterno delle città sono state ricavate da tratturi di campagna e su suolo in gran parte ondulato, se si eccettua la pianura padana.
Non siamo la Danimarca o l’Olanda dove esistono vasti territori inneggianti disabitati poco trafficati e con strade che sono esse stesse delle piste ciclabili. In Danimarca ad esempio, oltre ad essere una popolazione di poco più di 5 milioni di abitanti, possedere un’automobile costa di più in proporzione di un attico a Milano e quindi un’auto basta e avanza per famiglia, il resto, tutti in bicicletta. Nelle nostre famiglie ogni persona ha un’automobile. Si preferisce la comodità, non prendere pioggia, freddo, sole, caldo o neve per gli spostamenti di scuola o lavoro o anche per ferie. Quindi meglio auto e al volo, in quanto siamo ormai un popolo perennemente in ritardo, che prendere ad esempio un mezzo pubblico.
Siate sinceri, quanti di voi prendono la bicicletta per portare magari anche due figli a scuola nonostante vento, pioggia e freddo? Nella civilissima e avanzatissima Treviso, che il sindaco Mario Conte vuole trasformare in città della bicicletta, le mamme con suv accompagnano i figli a scuola sostando bellamente e in barba a chi usa quella pista ciclabile, su entrambe le piste ciclabile di un vialone sul quale insistono quasi tutti gli istituti scolastici cittadini.
Se ti fermi e ricordi alle signore ingioiellate che su quella pista ciclabile transitano le biciclette ti guardano come fossi un extraterrestre e poi tornano a chinare la testa sul cellulare ultimo modello. E nemmeno le multe a raffica le fanno desistere dall’occupare quel suolo pubblico destinato alle bici da passeggio. Da passeggio ricordiamo.
E’ anche vero che ormai l’abitudine di controllare il cellulare in automobile, condividere link, guardare news, rispondere sui social è abitudine talmente forte che entra in automatico. Succede a tutti, indistintamente. E chi va in bicicletta come cicloamatore o cicloturista spesso si ritrova dall’altra parte della barricata al volante di un’auto e chissà quante volte ha maledetto l’appassionato che scala le salite e se lo ritrova pericolosamente indiscussa in senso contrario.
E’ vero, andare sulle strade ad allenarsi o anche semplicemente per fare la spesa si è trasformata in roulette russa. Una società dove si corre e basta, anche i 5 minuti di attesa in una gara ciclistica alla domenica, diventano motivo di tensione, turbamento, nervoso. Vanno bene gli spot contro l’ignoranza. Ma l’ignoranza di chi?