La prima settimana senza corse consente di riflettere in maniera più pacata sugli ultimi avvenimenti che hanno riguardato il mondo del ciclismo.
Il segno più lo assegnamo a quelle squadre che hanno alzato la voce affinchè anche il ciclismo mondiale si fermasse di fronte al contagio da Coronavirus. Sette sono state le formazioni World Tour che allo scoppiare della pandemia hanno sospeso la propria attività: Astana, CCC, Mitchelton Scott, Movistar, Ineos, Jumbo Visma e UAE.
Dodici, invece, i team della massima categoria che hanno preso parte ugualmente alla Parigi-Nizza dove, dopo le prime tre tappe è stato fatto un sondaggio tra gli atleti: il risultato ha visto ben cinque squadre che avevano votato per la sospensione della corsa. Una gara surreale e assurda, nella quale si è cercato di tenere lontano il pubblico senza peraltro riuscirci; a tre giorni dalla fine è arrivata la decisione di annullare l’ultima tappa insieme alla scelta della Bahrain McLaren di tornarsene a casa anzitempo. Un epilogo triste e polemico che ha fatto calare il sipario sul ciclismo europeo prima di un periodo di stop forzato che si annuncia più lungo di ogni previsione.
Il segno meno se lo aggiudica l’Unione Ciclistica Internazionale che, di fronte ad una emergenza globale, non ha voluto e non ha saputo prendere una decisione lasciando così mano libera ai singoli organizzatori e ai singoli team.
Crediamo sia arrivato il momento di interrogarsi seriamente su cosa serva una federazione come questa che si fa pagare profumatamente da team e organizzatori, non fornisce alcun servizio, non è in grado di gestire un calendario internazionale reso sempre più caotico dalla globalizzazione e che, nel momento del bisogno, non ha trovato di meglio da fare se non lavarsene le mani.