Tour de France: tappa nove. Nella seconda giornata pirenaica, in un continuo su e giù per le strade testimoni delle mitiche gesta dei Moschettieri di Dumas, la strada incorona Pogacar e Roglic indossa la maglia gialla. Il ciclismo scopre, però, un nuovo campione: lo svizzero Hirschi e ahinoi, perde – per ritiro – il nostro Fabio Aru. È innegabile, il Ciclismo incarna lo sport popolare per eccellenza. Metafora di vita, e forse – più semplicisticamente – lo sport delle due ruote, nel gesto atletico, nelle alterne fortune dei corridori, ed anche nelle salite e discese dei percorsi, viene parafrasato dalle penne dei più auliche dei cantori del ciclismo nell’alternanza del Bene e del Male.
Come in un gioco infinito, è facile, infatti, affiancare le gesta degli eroi a pedali al cammino di ciascuno; da sempre indirizzato in un eterno movimento sulla scacchiera di questa pazza Vita come un’interpretazione allegorica dell’alternanza della Luce del giorno e del Buio della notte. Il Ciclismo, si sa, riesce a regalare emozioni (per qualcuno, una vera e propria regressio infantilis) che porta lo spettatore seduto sul divano di casa o il tifoso più sfegatato dal bordo delle strade, ad assurgere a rango di Direttore Sportivo e, talvolta, in un’onirica realtà parallela ad impersonare gli stessi atleti. Capita così, che lo spettatore o il tifoso – presi dalla smania dall’adrenalina sportiva – scivolino in commenti che esulano dal giudizio sulla corsa e, talvolta, sfuggono finanche alle regole del più becero racconto da Bar e, purtroppo, s’inerpicano sulle salite (non certo dei percorsi delle gare ciclistiche) della più banale delle offese…
Del resto innalzare a rango di Eroe il giovane atleta che tra un colpo di pedale en danseuse ed una volata vincente è davvero facile; magari, quei ragazzi ricurvi sulle amate bicilette, per qualcuno divenuti un punto di riferimento possano, addirittura, divenire veri e propri Miti: esempi da seguire! Altrettanto facile, però, come l’alternanza delle salite e delle discese nei percorsi di montagna, che quegli stessi ragazzi, colpevoli solo di non riuscire più a far girare quei pedali con la stessa velocità, vengano rapidamente distrutti e ricondotti dall’Olimpo del Ciclismo alla dura Realtà.
È già successo mille e più volte e capiterà ancora, perché – a parer di chi scrive – è ahinoi nella nostra stessa natura salire sul carro del vincitore per poi correre giù il più velocemente possibile quando l’eroe non vince più. Nessuna lezione di vita per carità, né tanto meno si vuole in queste poche righe scadere nel perbenismo e nel politicamente corretto, solo – mi sia consentito – riflettere con ciascuno di voi sulla realtà che ognuno vive, sulle difficoltà che troppo spesso siamo chiamati ad affrontare nel cammino delle nostre vite.
Se, lettore caro, nelle mie parole hai letto la parabola discendente del povero Fabio ARU (ritiratosi oggi al Tour) ti posso garantire che hai fatto centro. Non è casuale, quindi, la parafrasi alle gesta del campione dei quattro mori. Non vuol essere un piangersi addosso né tantomeno si vuole fare un aperto richiamo a chi si può essere sentito “tradito” dal campioncino di turno che si è poi perso nei meandri di watt ed rpm. Queste mie parole, mere riflessioni, vogliono solo sperare di suonare come le campane di una sveglia che ci riporti tutti il più rapidamente possibile alla realtà: al Ciclismo al nostro adorabile sport.
Lasciamo, quindi, le polemiche sterili e torniamo a parlare della fatica e della gioia della vittoria, torniamo serenamente a parlare di Ciclismo!!