50,267 chilometri in un’ora. Vittoria Bussi, italiana, classe 1987, è entrata nella storia solo pochi giorni fa per essere stata la prima donna a superare il muro dei 50 chilometri orari. Suo, per la seconda volta dopo il 48,007 km del 2018, il record del mondo femminile facendo meglio di Eddy Merckx (49,432 km nel 1972), meglio di Chris Boardman (49,441 km nel 2000) e pure di Ondrej Sosenka (49,7 km nel 2005).
Un clamoroso bis per l’Italia dopo il record ottenuto, in campo maschile, da Filippo Ganna a fine 2022. Ma, a differenza di quanto è accaduto per il Campione della Ineos Grenadiers, Vittoria Bussi ha dovuto pedalare contro tutto e tutti per centrare questo storico risultato.
Se Pippo Ganna aveva avuto la possibilità di prepararsi al record girando all’interno del Velodromo di Montichiari seguito dai tecnici della Ineos Grenadiers oltre che da media e giornalisti, nonostante le restrizioni che ancora lo rendono off-limits per chi non faccia parte dell’entourage azzurro, per Vittoria Bussi i cancelli del malandato impianto bresciano sono rimasti inesorabilmente chiusi nonostante chi di dovere fosse stato informato: “Ho scritto più volte alla Federazione per potermi allenare a Montichiari ma mi è stata data una risposta negativa. Per questo ho iniziato ad andare in Svizzera, ad Aigle. Mi sono fatta l’abbonamento al Tunnel del Gran San Bernardo: ho trascorso intere giornate nel velodromo dell’UCI. Lì mi hanno messo a disposizione anche la palestra e la tessera per il ristorante. Poi mi sono trasferita in Valle d’Aosta per essere più vicina alla Svizzera e, nell’ultimo periodo, Aigle e il Centro Mondiale del Ciclismo sono diventati la mia seconda casa. All’inizio avevo girato anche al Motovelodromo Fausto Coppi di Torino, ma è un impianto scoperto e in cemento dove d’inverno non ci si può allenare e, anche sul piano delle prestazioni, si è molto lontani dalle condizioni ideali per un record”.
Eppure il Presidente Dagnoni era andato ad assistere personalmente al tentativo di Filippo Ganna a Grenchen, come mai questa indifferenza nei suoi confronti?
“Non faccio parte del sistema. Non sono inserita in una squadra. A 36 anni penso di aver dimostrato il mio valore atletico con questo nuovo record ma per me non ci sono altre occasioni per esprimermi se non i Campionati Italiani a cronometro quando il percorso si addice alle mie caratteristiche o i Campionati Italiani su pista, quando vengono organizzati. In nazionale negli ultimi anni non c’è mai stato posto per me negli appuntamenti importanti come Europei e Mondiali; e, ne sono convinta, non ce ne sarà nemmeno adesso… “
Il suo record però rappresenta un patrimonio per il ciclismo italiano specie in un periodo in cui si parla con insistenza di equiparazione tra il ciclismo femminile e quello maschile. Dopo il risultato di Aguascalientes avrà ricevuto la telefonata di qualcuno dello staff azzurro no?
“Telefonate non ne sono arrivate. Solo i messaggi di congratulazioni, nulla di più. Anche per questo vorrei utilizzare la visibilità che mi sta dando questo nuovo record per portare all’attenzione pubblica questa situazione e per far capire a chi ama il ciclismo che i grandi risultati si possono ottenere anche per conto proprio. Il mio esempio dimostra che un buon progetto dovrebbe essere sostenuto da federazione e team ma non sempre è così: lo sport dovrebbe essere un sistema meritocratico e, invece, almeno in Italia non è così”.
Ci racconta come ha fatto a costruire questo risultato da sola?
“Non ho fatto tutto da sola: ho costruito un gruppo di grandi professionisti intorno a me. Dopo il primo record ho incontrato Matteo Cassin e i costruttori di Hope, la bici che mi ha accompagnato in questi anni. Poi ci sono il mio allenatore Luca Riciputi, Marco Perugini con cui ho curato l’alimentazione, Giuseppe Coratella che mi ha seguito in palestra e Niklas Quetri per il posizionamento in bicicletta. Grazie a tutte queste persone sono riuscita ad arrivare in Messico nelle condizioni giuste per centrare l’obiettivo”.
Tutto questo però, immagino, avrà avuto un costo. Lei non aveva Pinarello o la Ineos alle spalle. Come ha fatto?
“Nel dicembre del 2022 ho passato dei giorni davvero difficili. Avevo già coinvolto il mio staff ma non avevo un euro a disposizione e tutto rischiava di andare a rotoli. Ho chiesto di avere un pò di visibilità sui quotidiani, speravo che sfruttando la scia di Filippo Ganna qualcuno avrebbe potuto sposare anche il mio progetto ma non è arrivato nulla. Io non sono una influencer, non ho così tanti follower da poter garantire la visibilità che le aziende pretendevano e fare un record costa, come minimo, 50.000 euro: una parte siamo riusciti a coprirla con degli sponsor come Febametal che mi sono sempre stati vicini. Per il resto ho lanciato una iniziativa di crowfunding chiedendo 10.000 euro. E’ andata bene, la gente ha capito, abbiamo raccolto ben 12.000 euro e siamo partiti per Aguascalientes”.
Ma perchè è così affezionata al Messico?
“Nel 2018 avevo centrato là il mio primo record. Questa volta per trovare la motivazione ho pensato che avrei dovuto guardarmi allo specchio e vedere in 5 anni quanto ero cresciuta. Prima di tutto era una sfida con me stessa. Inizialmente l’UCI non consentiva di organizzare eventi in Messico, per questo sono stata a Grenchen, in Svizzera, e a Sola, in Norvegia, dove ero riuscita a fare il record in allenamento. Poi però la situazione tra la federazione messicana e l’UCI si è sbloccata e ho potuto andare a correre là”.
Come ha vissuto questo nuovo viaggio?
“Con molta più serenità rispetto al 2018 quando mi ero fatta prendere dall’ansia. Io, in fondo, un record lo avevo già ottenuto per questo volevo superare il muro dei 50 chilometri. Perchè i record vengono battuti ma per entrare nella storia serviva superare questo traguardo. Inutile dire che sono felicissima di avercela fatta”.
E adesso? Quali sono i suoi prossimi obiettivi?
“Ho 36 anni, sono in ottime condizioni fisiche ma non ho altri obiettivi perchè so che non mi saranno concesse altre occasioni. Si posso pensare ad un nuovo record, magari in una disciplina diversa dall’ora, ma non avrò mai l’occasione di confrontarmi a livello internazionale o di entrare a far parte del programma azzurro…”
Ma perchè tutto questo? Si è data delle risposte?
“Perchè chi esprime una diversità rispetto al sistema dà fastidio. Chi è diverso deve sempre farsi un pò di strada in più. Quando ho cercato di entrare in nazionale mi è stato detto che sarebbe stato molto difficile perchè io facevo solo le cronometro e il sistema investe su atleti che fanno entrambe le specialità”.
Eppure la statunitense Kristin Armstrong facendo lo stesso ha centrato tre ori olimpici (2006, 2012 e 2016) e due mondiali (2006 e 2009). E’ a lei che si ispira?
“Kristin è un esempio. Sono andata a trovarla negli Stati Uniti per conoscerla, mi ha fatto capire che si può fare, che ci si può specializzare nelle gare contro il tempo ma che serve una federazione che ti sostiene. Lei, negli Stati Uniti, ha trovato chi ha creduto in lei. Io non sono stata altrettanto fortunata”.
Quindi vuole dirci che è destinata a ritirarsi a 36 anni e dopo un record storico come questo?
“Annemiek Van Vleuten ma anche atlete come Tatiana Guderzo o Marta Bastianelli hanno dimostrato che le donne possono essere competitive ad alti livelli anche alla soglia dei 40 anni. Io sto bene, sono in forma ma credo proprio che mi renderò utile facendo altro, sviluppando nuovi materiali con Hope oppure riprenderò in mano la matematica” conclude Vittoria Bussi, che nel 2016 abbandonò proprio la matematica per inseguire il sogno di diventare un’atleta professionista.