Senza Poggio e Cipressa, senza il mare e la maestosità della riviera ligure, Pogacar riapre il campo di battaglia contro il suo primo antagonista per le classiche monumento: Van der Poel. Sono passati 15 giorni dai quei 5 brutali tentativi di Pogacar di scollarsi di ruota l’olandese: cinque sgasate, impetuose, sovraumane che purtroppo per lui non hanno avuto l’epilogo cercato.
Stesso sole e cielo tersissimo, che non ricorda per nulla la stagionalità delle latitudini nordiche, cambia la toponomastica della gara però, qui al Fiandre lo sloveno veleggia tra le pietre dei muri, le sue ruote sembrano rimbalzare e sgusciare senza intoppi nell’arrampicata di questi piccoletti muri che si annidano nella campagna insipida fiamminga. Mentre l’olandese oggi sembra pestare più del previsto, e seppur frantumando centimetro dopo centimetro il suo letto di nascita (il fuoristrada) tira molto di schiena, ha l’aria di quello che deve rincorre tutto il giorno e soprattutto quel folletto bianco che ha ancora la testa a quel quinto, ultimo e inutile scatto sulle pendici del Poggio; ma Van der Poel non riesce proprio a far scorrere con la solita eleganza il suo mezzo preferito, il serbatoio sembra svuotarsi chilometro dopo chilometro e cosi al secondo passaggio sull’ Oude kwaremont parte il primo dei cinque attacchi che Pogacar si tiene nelle gambe.
Perchè a Pogacar il cinque sembra piacerli decisamente come numero, forse gli ricordano le cinque classiche monumento che ancora sta cercando di riempire nel suo palmares (Sanremo al momento è l’unica ancora mancante) e così al passare dei minuti e dei chilometri che ci divino dalla fine della corsa, lo sloveno ne aggiunge ancora un’ altro e un’ altro ancora fino a riprendere l’ultimo passaggio sull’ Oude kwaremont e sferrare il quinto allungo micidiale, seduto composto e costante, dall’alto si vede la sua sagoma che prende il largo, prima 5 cm, poi 5 metri e poi 50; lascia a “piedi” il vero padrone di casa Van der Poel e il resto degli umani che già sapevano di dover assistere all’uscita dal molo di Tadej.
Un 5, non in pagella ma sul palmo della mano, va dato anche a chi oggi si siede subito fuori dal podio, monsieur Wout Van Aert, capace di presentarsi al via dopo il pasticcio di Mercoledì scorso alla Dwars door vlaanderen persa per un’azzardo di arroganza sportiva. Si intuisce subito che lo smalto non è quello di quei due davanti, ma la determinazione e la cattiveria che butta giù sono da ammirare e prendere da esempio, ad ogni curva e scalata rientra sul duo che lo precede, una resurrezione a cui sperava ma che non era cosi ovvia dopo le tranvate umane e sportive che ha subito nell’ultimo periodo. Tra sette giorni alla Roubaix potrebbe inserirsi con autorevolezza nei pretendenti al successo, sperando per lui che lo sloveno non inizi anche lì con la parabola del 5.