Quando ogni mattina scendo per la colazione, qui in Turchia, i media locali mi salutano apostrofandomi così: “Ehi, Eros Ramazzotti…”. Non che gli assomigli, non soffro di sinusite e non pretendo affatto di imitarlo nell’arte del bel canto. E’ semplicemente che noi italiani siamo quello che esportiamo, nel bene e nel male. E da queste parti il Ramazzotti cantante lo conoscono tutti. Da oggi farebbero buona cosa invece a ricordarsi che noi del Belpaese sappiamo ancora andare in bicicletta, soprattutto a certe velocità. Noi del “o tutto o niente” non conosciamo mezze misure ed è sempre meglio imporsi in una corsa di buon livello, anche se non eccelso, piuttosto che no. Sul lungomare di Alanya, dove il Giro di Turchia ha idealmente oltrepassato la boa di metà percorso, gli italiani vincono, riempiono il podio per intero, ne piazzano addirittura cinque ai primi cinque posti e sette nella top ten.
Al termine di una volata tanto strana quanto caotica la spunta Sacha Modolo e in qualche modo riscatta il tracollo di ieri della Lampre-Merida. Precede un ritrovato Daniele Colli, ancora competitivo allo sprint dopo il brutto infortunio del Giro 2015 e Marco Zanotti, il bresciano emigrato in Olanda (“Dove mi pagano ed è sempre meglio che pagare per correre” dice lui) confermatosi ad alto livello. Appena giù dal podio Belletti e Mareczko a completare il pokerissimo, con Cecchin settimo e Malucelli nono. Non pervenuto il grande atteso delle volate, André Greipel, vincitore il giorno precedente. La sua Lotto Soudal, dopo aver sgobbato duro per ricucire il ritardo dalla fuga di giornata, si scompone nell’ultimo chilometro e quando prova a mettere in piedi un treno accettabile sbatte contro la determinazione dei ragazzi Southeast, impeccabili nel conservare la loro linea ideale, un po’ meno nel finalizzare il lavoro svolto. A Belletti e Mareczko, ritrovatisi forse troppo presto allo scoperto, è mancata la zampata sotto lo striscione d’arrivo. Curioso il responso dei belgi della Lotto: ieri padroni dei ventagli e a loro agio nella tormenta come fossero a casa sui lastroni delle Fiandre, oggi dissoltisi sotto il sole caldo della costa nel momento topico della faccenda.
Ma l’altro protagonista in positivo della giornata, quello che la classifica non evidenzia, è Alessandro Malaguti da Forlì. E’ passato dalle fughe dello scorso Giro d’Italia con la Nippo-Vini Fantini, dall’inevitabile risonanza che la corsa rosa consegna ai suoi protagonisti, dal fan club che lo accompagna ovunque, dall’arrivo di tappa nella sua Forlì sotto lo sguardo emozionato della fidanzata Marika, da un successo solo sfiorato per tanto così, alla molto meno mediatica Unieuro Wilier, che dopo la Turchia lo manderà a correre in Azerbaigian, Slovacchia e Serbia. La serie C del ciclismo, altro che World Tour. Eppure Malaguti ha preso atto della situazione, non si è perso d’animo e si è inventato una strategia che avrebbe potuto portarlo al clamoroso successo. E’ scappato dopo 45 chilometri di quasi costante ascesa, insieme ad altri cinque giocatori d’azzardo, tra i quali l’italiano Tedeschi. E’ arrivato a godere di un vantaggio di poco superiore ai tre minuti e quando negli ultimi 50 chilometri l’unica difficoltà sul percorso era il vento il faccia si è via via sbarazzato di tutti i compagni di fuga. Ai 25 dall’arrivo è rimasto da solo con 2’20” da gestire e un carico di generosità che testimonia comunque un ottimo stato di forma. “Ci ho provato, anzi ci ho sperato – dirà poi il romagnolo, che alla Unieuro insieme a Finetto fa da chioccia ai tanti giovanissimi -. Purtroppo conta solo la vittoria. E quella mi è sfuggita”.
Non c’è nemmeno un premio per il più combattivo in corsa? “Niente, ho speso energie solo per la gloria”. Non è vero, Mala ha fatto un numero d’alta scuola e pazienza se non gli è riuscito: se non ci provi, non ti riuscirà mai. “In realtà facevo affidamento su una tappa ignorante” aggiunge con la cadenza tipica delle sue zone. Ma la tappa ignorante era venuta fuori il giorno prima. Poi spiega: “Un maggiore frazionamento nel plotone, con tutta quella salita in avvio. Invece il gruppo è rimasto compatto e quando ha spinto per venirci a prendere dei big non mancava nessuno. Mi fossi ritrovato un compagno di fuga più adatto a spingere lunghi rapporti, avessi avuto qualche secondo in più da gestire, forse sarebbe finita diversamente. Comunuque sto bene e credo lo si sia visto. All’arrivo ero stanchissimo ed anche un po’ incazzato. Ora ho realizzato di aver fatto tutto quanto era nelle mie possibilità per arrivare al successo”.
Con qualche spicciolo di vantaggio in più magari non lo avrebbero ripreso sul lungomare che conduce all’arco del trionfo, con meno di 5000 metri ancora da percorrere. “Ci proverò ancora, statene certi”. Una promessa, caro Mala, è un impegno.
Da Alanya, Gian Paolo Grossi