Il silenzio è religioso e tale da incutere timore reverenziale. La pulizia è quasi angosciante. Molto più di quella che ci può essere nella cappella privata di Papa Benedetto XVI, Papa tedesco votato al rigore. Non c’è un filo di polvere, né un granello di terra nella moquette sotto ai sedili, i sedili stessi, rigorosamente in pelle nera, sono lucidi e scivolosi. Tirati a cera quasi. L’ordine regna sovrano. Manco una carta per terra, che ne so un fazzolettino. Le borse dei corridori sono decisamente piccole rispetto allo standard al quale siamo abituati di solito. E sono posate nel bagagliaio piccolo ma capiente. Le ruote, oddio dove sono le ruote? In una cronometro di solito c’è la ruota di ricambio nei sedili posteriori, con tanto di meccanico urlante e sporto fuori da mezzo finestrino. E invece no, ci spiega Luke Roberts, ex corridore professionista con la Saxo Bank e Matteo Tosatto, australiano di Adelaide di nascita ma ormai tedesco di adozione. Le bici di scorta sono sul tettuccio.
Saliamo a seguire la prova contro il tempo sull’ammiraglia, una Mini Minor rivisitata modernissima con tutti gli optional dal navigatore satellitare ala televisione ai cb di ultima generazione, della Giant Alpecin. A guidare nella cronometro da Castelrotto ad Alpe di Siusi del Giro d’Italia è appunto Luke Robert, gentile e composto come un tedesco. Si parte regolari come su un cuscino di piume e non si sgomma come invece siamo abituati a fare in gara noi italiani. In ammiraglia vengono impartiti ordini dalla base, con due cb. In uno si parla inglese, nell’altro si comunica in tedesco. Il corridore, un olandese alto, ben piazzato, rigorosamente occhi azzurri, biondo, sguardo nordico, Tom Stamsnijder, ci spiegano, non è uno specialista delle crono. E’ un passista. Però gli viene impartito l’ordine di salire regolare. Lui esegue e si mangia pure due avversari lungo la ascesa, un corridore della Katusha e uno della Orica Greenedge.
Pare di stare in un altro pianeta. Nella navetta spaziale dei telefilm di Spazio 1999 con il comandante John Koenig allora interpretato da Martin Landau e dalla dottoressa Helena Russel interpretata da Barbara Bain alla plancia di comando. Ad un certo punto l’azione sconsiderata alla tricolore. Tiriamo giù il finestrino elettrico ed estraiamo il cellulare e iniziamo a scattare foto e fare video in diretta. Luke Roberts ci guarda un po’ esterrefatto e gli leggiamo nel pensiero: “ah i solito giornalisti italiani caciaroni”.
Tom il corridore sale con passo regolare ma appesantito. Incrocio di sguardi con Luke ed esce la vena da direttore sportivo italiano. Adesso lo sveglio io. E iniziamo ad urlare: “Go Tom, go go go. Dai dai…” Sembra ascoltarci Tom, scatta in sella e allunga il passo. Luke ci guarda e quasi ci incita a continuare. E intanto Tom vola, si mangia il corridore Katusha e poi il bianco verde della Orica. E inizia il tifo vero. Lungo la salita la folla di gente incita, urla. Fumi di alcol ci invadono la macchina, ops, la navetta spaziale. L’alcol quello dei “positivi al Luppolo” un gruppo di squinternati in maglia rosa con la scritta inneggiante alla birra, carichi già oltre il limite della bevanda che si mangia, perché il luppolo altro non è che appartenente alla famiglia del grano, insegue Tom lungo la salita. Il freddo ragazzo olandese si anima, il nostro Go Go Go, tanto caro a Pippo Pozzato, gli serve da incitamento costante per scattare sempre più agile sui pedali.
Luke ci guarda con ammirazione, dalla base arrivano gli ordini in inglese – tedesco – teutonico e capiamo che spiegano, rigorosamente a voce bassa e composti, che c’è una scatenata giornalista italiana che fa pedalare più convinto Tom. Alla fine, agli ultimi due chilometri, tra le ali di folla l’olandese volante sprinta verso l’arrivo, noi ci avviamo alla deviazione ammiraglie. Ci fanno richiudere i finestrini. Non si sa mai che nel tratto di sterrato entri un granello di polvere. Ma come fanno ad essere tutte sporche le auto italiane e quelle nordiche paiono appena uscite dall’autolavaggio, non lo abbiamo capito.
La flemma nordica si, certamente bella, il rigore ascetico dei direttori sportivi delle lande desolate abitate un tempo da vichinghi ci può pure star bene, l’organizzazione maniacale tale da rendere corridori e personale quasi dei robot può far tanto tendenza. Ma alla fine se il nostro Tom ha scattato un po’ di più è stato anche per la caciaroneria italica, i fumi dell’alcol, e mettiamoci pure qualche rosario di parole poco consone. Ma il ciclismo è anche questo. Confusione, allegria, divertimento, festa di popolo.