Ivan Santaromita si siede sulla poltrona in velluto pesante della sala-bar e i suoi occhi guizzano, subito, di attesa e curiosità. Intorno, il lusso e la magnificienza dell’hotel a cinque stelle che ospita la carovana incutono una certa soggezione, ma il vociare di addetti ai lavori e corridori riporta in un istante a quell’atmosfera “spartana” tipica della corsa, rimandando alle cose conosciute e familiari che fanno di ogni gara un piccolo pezzo di casa.
“Di cosa parliamo, Ivan?”. L’espressione è interrogativa. “Siamo in una terra misteriosa, di racconti. Racconta una storia di ciclismo”.
STORIA TRICOLORE – “Il bello del ciclismo è che ti porta dove vuoi. Quando ti alleni puoi scegliere tu la direzione, la salita che vuoi fare e la strada da percorrere. Cosa che in un altro lavoro non sempre è possibile. Magari sei più vincolato. Magari devi stare in ufficio, dietro a un pc. Io l’ho scelto perché era uno sport di famiglia. Mio fratello Mauro correva e io lo vedevo sempre alle gare. Mi piaceva.”
La storia parte da un bambino nato nel 1984 che, una volta diventato grande, dalla Lombardia ha iniziato a girare per le strade di tutto il mondo, valigia in una mano e manubrio nell’altra. “Ho cominciato da G4, a nove anni. Mi ricordo che le domeniche si infilava la bici nel baule e, via, alla corsa con gli altri bambini. C’era divertimento e meno esasperazione. Facevi la corsa, mangiavi tutti insieme. Da Allievo, sono arrivate le prime trasferte per fare qualche corsa più lontano e, poi, sono andato sempre più lontano. Adesso mi diverto ancora, però è un lavoro. Sono fortunato, perché faccio quello che ho sempre sognato, ma oltre al divertimento ci sono tanta fatica, tanto impegno e trasferte e viaggi. Negli ultimi anni ho passato tanti momenti difficili e ci ho pensato a smettere, però grazie alle persone che mi sono vicine ho sempre lottato. L’anno scorso, Dubai; ora sono contento di essere qui in una squadra italiana, dove mi trovo bene. Penso di aver fatto bene a non mollare.”
La squadra è la Nippo Vini Fantini, compagine italiana con uno sguardo all’Oriente e al Giappone dove il trentatreenne varesino è approdato a inizio stagione terminata l’esperienza targata 2016 alla SkyDive Dubai. “Il 2015 è stato un anno difficile, per me e, alla fine, ho corso poco. Ho avuto problemi con la squadra in cui militavo e mi sono trovato al muro, senza un team. In questo ciclismo se sbagli un anno non ti perdonano. Devi essere sempre con i primi, sennò ti fanno fuori. Si era presentata l’opportunità con la SkyDive e ho detto ‘proviamo, poi se si riesce a ritornare di qui bene, sennò vedremo. Ci sono riuscito.”
RIPARTIRE – Tanto WorldTour, poi la transizione Continental e, finalmente il ritorno “da questa parte”. La seconda vita di Santino, come è chiamato in gruppo, riparte in arancio-blu. “In due anni avevo fatto circa trenta corse e, quest’anno, l’inizio si è rivelato un po’ difficile. Avendo corso poco mi mancavano il ritmo di gara e le sensazioni in gruppo, ma piano piano sto crescendo. In Trentino – al Tour f the Alps, ndr – sono andato discretamente. Qui in Azerbaijan il secondo giorno ci è andato in fuga il gruppo. Ci sarà di lezione per il Giro del Giappone, un appuntamento molto importante per il team in cui cercheremo di dare il massimo. Ora, per me, l’obiettivo è quello di ritrovarmi e di tornare al livell del 2013. Ogni corsa è un’opportunità per fare risultato, farsi vedere e aiutare la squadra. Mi piace aiutare i miei compagni giapponesi a capire la vita del corridore e trasmettere la mia esperienza.”
Fuori dal maestoso albergo il cielo, color grigio piombo, di Baku accarezza la storica Torre della Vergine, principessa – leggenda vuole – caduta nel mar Caspio per amore e le recentissime Tre Fiamme con la stessa delicatezza. Tradizione e modernità: distese di prati e montagne da un lato, cemento e costruzioni futuristiche dall’altro. Un mix tra quello che era e quello che è, pensando già a quello che sarà.
SGUARDO AL DOMANI – Il Tour d’Azerbaidjan 2017, disputatosi dal 3 al 7 maggio scorsi e in cui Santaromita è stato tra i protagonisti più applauditi, incarna perfettamente questa mescolanza, con il tracciato di congedo della quinta e ultima tappa che, dalla Città Vecchia, ha proiettato gli atleti nel XXI secolo e sul percorso di Formula 1. Il ciclismo, come la capitale caucasica, è diventato così: sport antico che si è vestito di nuovo, barcamenandosi tra passato e cambiamenti.
“Il Ciclismo è cambiato. Quando è arrivato il WorldTour, in Italia siamo un po’ morti. C’è molta più esasperazione in tutto e per i punteggi. In gruppo c’è sempre più stress, più pericolo e più giovani che non hanno rispetto. Nel 2006, quando sono passato professionista e i primi anni che correvo era diverso. Io ero quasi in imbarazzo davanti ai Bettini, ai Boonen e ai campioni di allora, adesso questo rispetto c’è di meno. Il giovane arriva e pensa già di essere un campione. Naturalmente ci sono delle eccezioni.”
Con tanti chilometri in più sulle spalle, si guarda al futuro. Prossimo e venturo. Magari, auspicando che sia pitturato a tinte bianco-rosso-verdi. “L’obiettivo più vicino è riuscire a conquistare una seconda Maglia Tricolore. Il percorso dei prossimi Campionati Italiani sembra difficile, con la salita impegnativa di Ivrea. Io sono tranquillo. Uno l’ho già vinto.” Risata, ripresa. “Ce la metterò tutta, quel giorno, anche per la squadra. Essere il Campione Nazionale è sempre un grande orgoglio. Non passi inosservato. Porti la bandiera della tua Nazione in tv, nelle grandi città e nelle grandi corse e tutti ti riconoscono. Anche la mamma, che fa fatica a vederti, ti vede bene. Il giorno in cui lo disputeremo sarà una grande emozione, perché è una corsa che sento sempre in modo particolare. C’ero già andato vicino nel 2010 e anche nel 2011 – quando si era classificato secondo, ndr -. Ero sempre li e, poi, nel 2013 la vittoria è arrivata. Quest’anno mi auguro di festeggiare la doppietta. Il sogno? Spero di tornare al Giro d’Italia, che è la corsa che più mi piace, e riuscire a vincere una tappa. Ma di questo se ne parlerà, magari, l’anno prossimo.”
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