Si è conclusa con la tappa di ieri la parentesi in terra d’Israele del Giro d’Italia. Seguirá un canonico giorno di riposo in terminologia anglosassone REST day; ed allora la domanda, come recita l’adagio, nasce spontaneo: cosa RESTa di queste tappe?
Non è già certo tempo di bilanci ma riteniamo che alcune considerazioni vadano fatte. Partiamo, quindi, da una prima considerazione: benchè sia facilmente intuibile, in un mondo globalizzato e, ahinoi, piegato ad interessi economici, la ratio di una partenza in terra straniera. Si certo, un Giro dedicato al Ginettaccio – un Giusto tra i Giusti – dá una connotazione più che motivata e adeguata alla partenza in terra santa.
Inoltre, vedere le migliaia di persone riversate sulle strade di Gerusalemme e di Tel Aviv è sicuramente un bel vedere ma probabilmente ci si sarebbe potuto aspettare qualcosa in più.
La più che necessaria scelta, pertanto, di percorre qualche centinaio di chilometri dei 3.600 complessivi del Giro lascia qualche interrogativo non certo polemico ma, auspichiamo, quantomeno legittimo: ne valeva davvero la pena? Era davvero cosí opportuno sacrificare chometri di asfalto italico a tutto vantaggio di una cassa di liquidità a favore di qualche saggio destination manager della terra promessa?
Per carità, nessun ragionamento autarchico e meno che mai antisemita si cela dietro a queste considerazioni – mi auguro a tal proposito che i leoncini da tastiera dell’era d’Internet si mostrino clementi al pari dei perbenisti dell”ultim’ora – ma per noi italiani il Giro esprime una sacralità delle due ruote che da troppo tempo gli organizzatori sembrano dimenticare accecati dal più vile dei metalli o da logiche ai più poco potabili.
Ma accantonate queste prime riflessioni la tre giorni in Israele ci offre anche altri spunti per un ragionamento più consono al nostro sport. Pochi chilometri e con altimetrie da tavoliere non potevano certo darci oracoli certi sul vincitore della centunesima edizione del Giro ma hanno, forse, chiarito che Tom Dumoulin fa sul serio e che il rosa gli dona assai.
Che Sir Chris Froome è più nervoso che sfortunato (lo scivolone prima del cronopologo può avere piú chiavi di lettura) ed, infine, tra le ruote veloci, tra quelli che la tradizione chiama velocisti (come se gli altri ciclisti fossero “lenti..sti”) il nostro campione olimpico non ha rivali e che sarà lui (Viviani ndR) l’uomo da battere.
Poche, allora, le considerazioni da fare ma tanta, tantissima l’aspettativa per questo #Giro101 che finalmente parte, si ma…. Martedì!