Era l’8 febbraio 2018 quando la bomba “doping” deflagrava nel cuore della Toscana ciclistica (Clicca qui per rileggere l’articolo). Il “sistema Altopack” veniva smantellato a colpi di intercettazioni, perquisizioni, fermi e ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari.
FAMIGLIE COINVOLTE – Gli interrogatori che ne sono seguiti, oltre ai verbali di ulteriori intercettazioni, hanno portato a galla delle situazioni a dir poco imbarazzanti. Come il rimprovero di Edita Rumsiene, la moglie di Raimondas Rumsas e madre del compianto Linas che rimproverava il figlio, Raimondas Junior in forza in quel momento al Team Palazzago di non aver noscosto bene i farmaci poi rinvenuti nella sua auto dagli inquirenti. “Dovevi nascondere meglio quei farmaci” spiega la donna al figlio che aveva nascosto le sostanze proibite nel vano della ruota di scorta della propria auto.
Intercettazioni pesanti che coinvolgono anche altri genitori che, stando agli atti d’indagine, si facevano in quattro pur di procurare le sostanze dopanti per i figli. E’ il caso del padre di Giovanni Petroni, corridore indagato, che telefona al farmacista Andrea Bianchi, 50 anni, uno dei cinque ai domiciliari per l’associazione a delinquere, e gli chiede dei medicinali per il figlio corridore: “Andrea, sono il papà di Giovanni il ciclista… ti domandavo se era possibile avere qualcosa..”. La frase non è ancora finita che arriva la risposta: “Ascolta, dovrebbe arrivare domani … quello lassù vuole 20 euro a fiala… però me ne rimane due sole… per te ci avevo pensato me ne porta dieci e quei due te li ho lasciati”.
DOVE SONO I RESPONSABILI? – Oggi, a distanza di cinque mesi, quella “bomba” ha lasciato un segno indelebile, ha azzerato l’attività di un intero team ma non ha ancora portato a fare chiarezza sui ruoli e sulle responsabilità. In particolare dal punto di vista agonistico ed atletico.
Parliamo di ragazzi che nel frattempo hanno vestito altre casacche e che, regolarmente, sono tornati a gareggiare e a vincere. Sulle loro prestazioni, è inevitabile, grava un alone grigio che non può essere ignorato: per questo, anche dopo il successo dello stesso Giovanni Petroni, ieri a Marciana (Pi) è legittimo chiedersi, come hanno fatto in molti in queste settimane: cosa aspettano gli organi federali competenti a stabilire le responsabilità e a disporre le eventuali squalifiche o assoluzioni?
Sia chiaro: lontana, da chi scrive, la volontà di condannare anzitempo il povero Petroni. Così come è comprensibile la reazione del ragazzo che ieri è giunto sul traguardo con il dito indice sulle labbra, quasi a voler zittire le prevedibili polemiche scatenate dal suo risultato. Ma in questi mesi si è parlato a lungo del caso Froome, risoltosi con un nulla di fatto grazie alla brillante difesa del britannico. Se quel caso ha trasmesso un insegnamento al mondo dello sport è proprio la necessità di arrivare in tempi rapidi ad una sentenza che faccia chiarezza e che sia capace di rendere una verità stabile.
Si decida, lo si faccia in fretta, se Giovanni Petroni o gli altri ragazzi coinvolti nell’indagine di Lucca hanno qualche responsabilità e se per questa debbano essere chiamati a rispettare una squalifica. Oppure, nel caso non vi fossero le colpe ipotizzate, siano tutti assolti e si torni a gareggiare senza più innescare dubbi, discussioni e polemiche.
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