Italia – Francia, atto secondo. La caduta, l’infortunio e il ritiro di Vincenzo Nibali dal Tour de France è molto di più di una semplice rivalità sportiva, politica o campanilistica. In attesa del Tweet con cui Matteo Salvini chiederà i danni al collega Emmanuel Macron, sull’asfalto dell’Alpe d’Huez restano solo il silenzio e la rassegnazione.
PAROLA D’ORDINE: SICUREZZA – Poco importa, qui, se a travolgere Vincenzo sia stata la moto della Gendarmeria o se la colpa sia tutta da attribuire ai fumogeni, ai tifosi in mezzo alla strada o alla prima transenna degli ultimi quattro chilometri. Resta il fatto che, ancora una volta, assisteremo ad un Tour de France orfano di uno dei più attesi protagonisti. Uno di quelli, giusto per intenderci, che nella terza settimana avrebbe fatto divertire il mondo. E che un campione che si è preparato per mesi per la Grande Boucle è costretto a tornarsene a casa anzitempo con una frattura ad una vertebra.
Poco importa che sia italiano, non è certo della rivalità con i francesi che qui si tratta ma, semmai, di un grande evento, il più importante del mondo del ciclismo, che tratta i propri attori protagonisti, i corridori, come carne da macello. L’importante è che se ne parli: che sia Froome a correre a piedi sul Mont Ventoux o Nibali a finire a terra, l’importante è che ci sia la notizia che va oltre l’ordinario e che faccia guadagnare spazio sui giornali.
Lo abbiamo detto una settimana fa in occasione degli incidenti avvenuti al Giro della Valle d’Aosta, lo ripetiamo oggi: la sicurezza degli atleti deve essere messa al primo posto, in ogni manifestazione, specie in quelle di maggior rilievo. In un epoca in cui si usano i droni per non perdere soldati in guerra non si capisce perchè bisogna ancora mettere a repentaglio la vita dei corridori per una gara ciclistica. Si spendono un sacco di soldi per motorhome e trasmissioni televisive ma, troppo spesso, ci si dimentica ancora che gli atleti hanno diritto di gareggiare in sicurezza.
Che ci potesse essere il pubblico delle grandi occasioni sull’Alpe d’Huez era facilmente prevedibile. Era evidente che si sarebbe dovuto porre in essere tutti gli strumenti per contenere la folla e far transitare gli atleti senza intoppi. E invece il Tour de France, l’ASO e le istituzioni francesi non hanno fatto niente. Con il benestare dell’UCI e delle associazioni dei corridori che si sono svegliate troppo tardi, solo dopo che era avvenuto il fattaccio, in tarda serata, per chiedere timidamente “più rispetto e più sicurezza”.
Oggi il Tour de France ripartirà come se niente fosse accaduto. Non ci sarà Nibali e si andrà avanti. Tanto, a quelli che sono rimasti in gara, ieri non è successo nulla e si accetterà questo ulteriore sopruso nei confronti degli atleti. Quando questi ragazzi capiranno che è necessario alzare la testa e che è arrivato il momento che siano i corridori ad imporre le proprie regole? Senza più farsi mettere i piedi in testa da chi, sulla loro pelle, realizza guadagni da capogiro.
Non tanto e non solo per il bene degli stessi corridori ma per la sopravvivenza dell’intero ciclismo. La Parigi-Dakar, la MilleMiglia e tutte le altre competizioni motoristiche che si correvano in Europa sono state chiuse o ridotte a semplici kermesse perchè non garantivano la sicurezza di pubblico e piloti. Quanto manca perchè ciò avvenga anche per il ciclismo su strada? Vedendo le immagini della bolgia dell’Alpe d’Huez siamo ormai giunti al limite.
OGGI SCIOPERO – E allora quale occasione migliore di questa per i corridori per alzare l’asticella? Oggi si faccia sciopero: contro i tifosi scellerati, contro gli organizzatori che non tutelano i corridori e contro le istituzioni che sono state assenti. Perchè la strada torni ad essere dei corridori. E basta. E’ finito il tempo delle “gentili richieste” è arrivato il mometo di lottare per la sicurezza dei corridori e per il futuro del ciclismo. Si appoggi la bici a bordo strada, ci si sieda per terra e si lotti per ottenere le garanzie per poter proseguire verso Parigi in sicurezza perchè domani potrebbe toccare a chiunque altro tra coloro che hanno il privilegio di essere ancora in gruppo.
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