Viviamo nella società delle responsabilità, degli altri. Questo è ormai un dato di fatto. Ma l’incidente (e mezzo) di ieri a Lido di Camaiore, nel corso della cronosquadre che ha aperto la Tirreno-Adriatico deve portare ad una riflessione profonda: che il ciclismo sia uno sport “pericoloso” è chiaro ed evidente ma fino a dove arriva la responsabilità di atleti ed organizzatori e dove deve iniziare la responsabilità del “passante inconsapevole”?
PER COLPA DI CHI… – E’ compito dell’organizzatore curare la sicurezza. Degli atleti e degli spettatori. Ma l’organizzatore può davvero difendere alcuni soggetti “da sè stessi”? Cosa avrebbe dovuto prevedere, oltre a quanto già fatto il direttore Mauro Vegni? Cosa avrebbero dovuto fare, oltre alla normale sorveglianza, i singoli addetti alla sicurezza o i vigili urbani per evitare la caduta di Oscar Gatto e Rafal Majka?
E cosa avrebbero dovuto fare gli atleti in corsa? Rallentare, forse? Fermarsi agli stop, ai semafori e pure di fronte alle strisce pedonali?
QUALE FUTURO? – Il problema, aldilà degli episodi di Camaiore, è serio. E potrebbe determinare il futuro del ciclismo su strada: manifestazioni sportive come la 1000Miglia sono state cancellate perchè “troppo pericolose”. Visto, con occhi estranei, quanto accaduto ieri a Camaiore anche il ciclismo su strada potrebbe essere considerato di qui a breve “troppo pericoloso”.
Finchè non si deciderà davvero di far conoscere davvero l’art. 9 del Codice della Strada anche a chi non segue abitualmente il ciclismo e non si provvederà a sensibilizzare gli autisti, a chiudere i battenti non sarà certo il Giro d’Italia e la Tirreno Adriatico ma tutte quelle centinaia di manifestazioni che mantengono vivo ogni settimana il nostro movimento. Quelle che non hanno la diretta televisiva per dimostrare l’innocenza degli organizzatori, quelle curate con passione da tanti volontari che non possono essere esposti a responsabilità che vanno ben oltre il loro impegno.
Qui non si tratta di attaccare adesivi o raccogliere delle firme su internet, ma di tutelare uno sport che, pur nella sua pericolosità, è linfa vitale per il nostro Paese: il ciclismo si corre sulla strada e questo è l’unico elemento che lo rende così speciale rispetto agli altri sport.
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