La settimana si è aperta con un segno meno che va alla riforma disegnata e voluta dall’UCI: a Genova, in occasione del Giro dell’Appennino, il ciclismo italiano ha toccato con mano cosa sarà il mondo del pedale a partire dal 2020. Una grande classica del calendario professionistico ridotta a poco più di una gara per dilettanti con solo 7 formazioni professional e una folta schiera di Under 23 al via.
Un futuro decisamente tetro per delle competizioni che hanno scritto la storia del ciclismo e che possono vantare un albo d’oro infarcito di grandi campioni: dal prossimo anno, le corse professionistiche in italia si potrebbero contare sulle dita di una mano. Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Giro d’Italia e Lombardia o poco più. Tutto il resto sarà un magma non ben definito con attori di secondo piano e giovani di belle speranze mentre i campioni più famosi si troveranno a gareggiare lontani dai confini italiani, in gare senza una storia ma dal portafoglio ben più ricco.
Il segno più va agli atleti italiani che, nonostante tutto questo, riescono comunque a mettersi in luce: che siano grandi classiche o prove di secondo piano gli azzurri sanno essere protagonisti ed emozionare il grande pubblico. Questione DNA, di carattere e di qualità: perchè il ciclismo non è disciplina che si improvvisa ma questione di tradizione, storia e insegnamenti che si tramandano da una generazione all’altra.
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