A volte il compito del giornalista è quello di lanciare provocazioni per capire se possono servire a trovare soluzioni a qualche problema o indirizzare scelte. E noi di ciclismoweb siamo sempre molto attenti al mondo ciclistico nelle sue più poliedriche sfaccettature. Per dare input, trovare soluzioni, specie nel mondo del ciclismo giovanile, affinché quell’immenso patrimonio che potrebbe persino far parte dell’Unesco, un bene immateriale ma che ha permesso di far crescere l’umanità, ovvero il ciclismo, non si disperda. Troppi attacchi all’interno dello stesso mondo, troppe vendette trasversali senza protezioni all’interno dello stesso mondo ciclistico.
Dalle battaglie interne al doping (fosse solo il ciclismo ad avere questo problema….), ultima la rimozione anche se temporanea di Alessandro Petacchi da commentatore televisivo per presunti collegamenti ad un affare di doping quando ancora sette anni fa era corridore (assurdo, ormai ha smesso e commenta il ciclismo), alla censura di sponsor di alcol tabacco e Venere e tante altre scelte assurde che sta effettuando l’Uci.
Sembra incredibile che una Uci che dovrebbe difendere un patrimonio, quello ciclistico, che muove miliardi di euro, e tanti ne porta a se stesso, debba sempre pestarsi “le palle” da solo. Un presidente filo-francese che sembra avere come obiettivo la distruzione del movimento ciclistico italiano, il più importante al mondo, ricordiamolo. Prima la riduzione a 176 corridori in gara per presunti motivi di sicurezza quando le cadute avvengono anche con gruppetti di pochi corridori. Poi, assurdità su assurdità, una riforma destinata a favorire solo pochi team. Ma finalmente il ciclismo italiano ha alzato la testa. La percezione è diventata realtà.
Nei mesi scorsi vi abbiamo proposto diverse interviste sia a Gianni Savio che alla Reverberi Family e abbiamo parlato con Valentino Sciotti, Francesco Pelosi, Luca Scinto e Angelo Citracca, tutti manager delle sole quattro squadre professional rimaste in Italia. Avevamo incontrato a Bologna, alla vigilia del Giro d’Italia, il presidente della Lega Ciclismo Italiano, Enzo Ghigo, persona stimatissima e che stavolta ha preso il toro per le corna.
Sostenuto dal decano Bruno Reverberi insieme, a distanza di pochi minuti, nello stesso giorno, avevano preso di petto il presidente federale Renato Di Rocco nonché vice presidente UCI. O la va o la spacca.
O il ciclismo italiano muore o ci aiuti a farlo vivere. “Non si può stare con due piedi in due staffe. Da un lato presidente federale e dall’altro vice presidente Uci e decidere da un lato di far morire il ciclismo italiano giovanile e dall’altro come Fci cercare di tenerlo in vita”. Erano arrabbiati Ghigo e Reverberi e ancora Savio e ancora Sciotti o Citracca e tutti coloro che amano il nostro ciclismo.
E stavolta, carta e penna alla mano il ciclismo italiano ha rialzato la testa. Contro i francesi e contro una globalizzazione incontrollata. Un ricorso contro un editto che potrebbe far morire il ciclismo italiano.
C’è da sperare che il nostro Renato Di Rocco, già in corsa per la rielezione federale non si renda complice di quel voto e di quella riforma UCI che rischia di spazzare via un patrimonio dell’umanità quale è il nostro movimento ciclistico tricolore, mettendosi di traverso al ricorso. E finalmente, per una volta tanto, il ciclismo tricolore prenda in mano il proprio futuro.
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