Beep beep, fiuuu…la paletta si alza al cielo inesorabile. E il vigile motociclista si avvicina all’auto che fa parte della grande famiglia del ciclismo. Patente e libretto. Una svista per colpa di automobilisti incazzati, e scatta il verbale. Fastidioso.
Code, gente che si attacca ai clacson come non ci fosse un domani, gente che deve andare a fare la spesa il sabato mattina o la domenica passeggiare e non vuole trovare fastidi sulle strade o nei centro storici. Su 100 appassionati che sostano ai pulmann della squadra e fanno a spallate per avere un selfie o un autografo con il campione di turno, ce ne sono mille che protestano per la città bloccata dalla corsa ciclistica, deviazioni, traffico in tilt, ritardi. Anche se si tratta di “fastidi” che durano un paio d’ore al massimo. Il tempo della partenza. Insomma il ciclismo tanto praticato, lo sport più ambientalista ed ecosostenibile in assoluto, rischia di essere espulso dai centri storici. La gente non sopporta più nulla. Dalla signora che ha la piccola attività nel piccolo centro pedemontano e si lamenta per un paio di transenne al campionato mondiale dei giornalisti a chi non sopporta il Giro di Lombardia, grande classica di fine stagione.
“E’ sempre più difficile chiudere le città e far capire ala gente che si tratta di poche ore – ci spiegano i vertici della polizia municipale di Bergamo – Fino a qualche anno fa un evento era una festa. Adesso un evento è diventato un problema su tutto. Dal passo carraio che rimane bloccato per qualche minuto alla signora con il passeggino che si lamenta perché non riesce a transitare sul marciapiede. La gente si lamenta di tutto. E per tutto”.
Le grandi città diventano sempre più complicate da chiudere. I paesini invece sono ancora, per molti aspetti, accoglienti. Nel piccolo centro storico l’evento può essere grande festa. E tutta la popolazione può diventare partecipe. Anche se poi accade come a Offida che ci si trovano tre matrimoni in una mattina-pomeriggio in un centro più piccolo di un villaggio di partenza del Giro d’Italia e allora anche in quella situazione, la presenza di una corsa per donne crea disagio. Traffico dicevamo ma anche gente che pure di sabato arriva stressata e non sopporta il semaforo rosso che scatta, causa coda, più volte.
O gli stessi operatori della strada, che gli agenti di Polizia Municipale che non amano lo sport e gli eventi e in quel momento diventano più Cerberi di un Cerbero all’inferno. Il ciclismo è promozione del territorio, è turismo lento, è economia, è business, marketing promozionale dei prodotti locali, dell’enogastronomia. Ma spesso chi va in bici fa a botte con l’automobilista. Salvo quando l’automobilista anche se sale in bici, non ricorda di quando pedala e si incazza di chi occupa la strada in doppia o terza fila.
Le nostre strade, lo diciamo spesso, non sono in grado di sopportare un carico di persone che si muovono in bicicletta, anche solo per benessere e condividere gli spazi con le automobili o i camion. Le stesse strade che sono sempre più devastate, piene di buche e prove di manutenzione.
Spazio alle bici o spazio alle auto, forse è arrivato il momento di fare una scelta. Si parla di lotta all’inquinamento ma le mamme vanno a prendere i bimbi a scuola con i Suv e se potessero entrerebbero direttamente in aula con la macchina. Sicurezza, sicurezza. Ci si riempie la bocca del termine sicurezza. Ma poi si muore anche in corsa. E allora che sicurezza vogliamo?