Posso uscire? Nelle strade forse no, ma se vado nei boschi nessuno mi vede… E se giro attorno al parco? O nelle stradine dove non passa nessuno? Insomma, posso allenarmi?
Il risveglio del 10 marzo avrebbe dovuto essere al quartier tappa della Tirreno-Adriatico, pensando alla Milano-Sanremo. Invece ecco l’incubo: come una macchina del tempo il Coronavirus sembra averci riportato tutti al ritrovo di partenza della peggior gara di giovanissimi esasperati, tra genitori ansiosi e bambini piagnoni.
L’italiano dovrebbe essere una lingua unica e chiara per tutti eppure quello “State a casa” sembra assumere una valenza diversa per ognuno di noi. C’è il cicloamatore che fino a ieri parcheggiava l’auto sull’uscio dell’ufficio e, oggi, pur di allenarsi va al lavoro in bici. C’è il dilettante che si sente figo e non può rinunciare ai selfie e alle stories in allenamento. C’è lo juniores sovrappeso che non ha mai avuto voglia di fare le ripetute e che sembra in crisi da astinenza di chilometri E poi l’allievo fenomeno, da 15 giorni a casa da scuola, con gli ormoni in circolo e i brufoli in fronte che non può mancare l’appuntamento con la ragazza allieva più carina del gruppo. Genitori che chiamano Carabinieri, Prefetture e sindaci senza sosta per strappare un “si” che consenta al figlio di uscire in bicicletta.
Per tutti questi ragazzi (e per i rispettivi genitori) quello “state a casa” non li riguarda. E’ per tutti gli altri ma non per loro. Tutti hanno da affrontare un allenamento troppo importante, devono prepararsi per le corse. Quali corse ancora non è dato saperlo ma l’importante è che possano uscire in bici.
E invece, purtroppo, la dura realtà ci dice esattamente il contrario: in una drammatica riunione delle federazioni, ieri pomeriggio, è stato il CONI a chiedere al Governo una sospensione totale delle attività. E questa sospensione totale il nuovo decreto l’ha sancita senza troppe eccezioni. Da oggi e fino al 3 aprile la regola è: “Uscite di casa solo se strettamente necessario” dove quello “strettamente necessario” significa: lavoro, spesa alimentare ed emergenze sanitarie.
Tutto il resto, compreso il giro del mondo in bicicletta, può, anzi, deve aspettare. Non è bello sentirselo dire ma, purtroppo, è così. Ed è così perchè, indipendentemente dalla possibilità o meno di beccarvi il Coronavirus andando in bicicletta e indipendentemente dalla possibilità più o meno alta che il virus si riveli mortale nei vostri confronti, in questo momento è necessario fermare assolutamente il contagio.
Fermare il contagio è l’unica cosa che conta per poter tornare alla normalità. Perchè se il contagio non si dovesse arrestare nelle prossime settimane, mancheranno i posti letto in ospedale e questa situazione proseguirà ancora, anche dopo il 3 aprile e diventerà più dura per tutti.
Fate finta che fuori piova per 15 giorni di fila. Avete una possibilità enorme: apprezzare il valore della libertà che questo sport ci regala ogni giorno e che in queste ore ci viene tolta dal COVID-19. Potete stare a casa, pensare, programmare e trovare delle motivazioni ancora più forti per salire in sella quando arriverà il momento di ripartire. Fatelo, perchè quando si ricomincerà a pedalare nulla sarà più come prima. Sarà un pò come nel 1946, quando il Giro d’Italia dei sopravvissuti si corse ad inizio luglio e dove a contare non era la forma fisica ma la voglia di pedalare.
A scriverlo oggi è chi fino all’ultimo, fino a quando si poteva, ha promosso tutte le idee possibili per continuare a fare attività (clicca qui per l’articolo del 5 marzo e clicca qui per l’articolo del 7 marzo): all’aria aperta, nei velodromi, negli autodromi. Ovunque si potesse. Idee che rimangono valide e da riprendere non appena il contagio accennerà a diminuire. Ora, però, è arrivato il momento di fermarsi. Ora c’è un ordine che non può essere ignorato. Un richiamo alla responsabilità di ognuno di noi con cui non si pò più scherzare.
E, infine, se proprio non riuscite a far girare i neuroni senza far girare le gambe, salite sui rulli. Però, per favore, almeno lì, risparmiateci i selfie.